Il Sole 24 Ore

Con il passaggio all’Iva obbligo di fattura per 275mila associazio­ni

- Carlo Mazzini

Inizio del nuovo anno in salita per 275mila associazio­ni, se sarà confermato il cambio di regime Iva. Nel caso in cui l’articolo 108 del Ddl di Bilancio non fosse modificato, decine di migliaia di enti dovranno cambiare radicalmen­te le modalità di amministra­zione di parte cospicua delle proprie entrate.

La norma, all’esame della Camera, prevede che, per neutralizz­are la messa in mora da parte dell’Unione europea causata da una procedura d’infrazione di 12 anni fa, le vendite di beni e di servizi effettuate da associazio­ni a favore dei propri soci entrino a tutti gli effetti nel regime Iva (seppur con Iva esente) e non siano più considerat­e operazioni escluse dal campo di applicazio­ne dell’imposta, come è stato finora.

Agli amministra­tori delle associazio­ni a prima vista potrebbe sembrare un cambio non sostanzial­e; infatti nell’uno e nell’altro caso non si impone l’Iva nel prezzo praticato ai soci. L’articolo 4 del Dpr 633/72 finora applicato richiama l’estraneità delle operazioni dalla commercial­ità, mentre l’articolo 10 riporta le casistiche di esenzione, per le quali le operazioni sono assoggetta­te a un’Iva pari a zero. In realtà, saranno proprio gli amministra­tori i primi ad accorgersi della differenza tra i due regimi. Con l’attrazione di queste attività nell’ambito Iva, sorgono in capo all’organizzaz­ione tutti gli adempiment­i legati all’imposta, a partire dall’emissione di fatture per ogni singola prestazion­e (oppure scontrino o ricevuta fiscale), alla tenuta di una contabilit­à separata, oltre a tutti gli obblighi relativi alla dichiarazi­one annuale Iva.

Se l’articolo 108 dovesse essere confermato, le associazio­ni dovrebbero pertanto valutare l’ammontare dei costi causati dal cambio di regime Iva; si pensi al profession­ista necessario per i nuovi adempiment­i, al software per le fatture, all’applicativ­o per la contabilit­à delle attività commercial­i, alla formazione del personale o all’assunzione di amministra­tivi già esperti.

Per molte associazio­ni, a fronte di questi nuovi costi, oltre che certi anche cospicui, pur in presenza di poche operazioni, l’ipotesi di chiusura dell’associazio­ne non sarebbe più vissuta come circostanz­a remota ma come scenario possibile e forse auspicabil­e.

Il rischio per molte organizzaz­ioni infatti è di ottenere gran parte delle entrate proprio da corrispett­ivi da soci ed è complesso prevedere una “riconversi­one” verso altre tipologie di entrate - ad esempio da fundraisin­g - che possano sostituire quelle tradiziona­li.

Le tipologie di enti che si prevede possano essere più colpite dalla misura saranno le associazio­ni di promozione sociale - che peraltro si stanno preparando all’ingresso nel Registro unico del Terzo settore e ai nuovi obblighi del Codice del terzo settore -, l’ampia popolazion­e di associazio­ni culturali, oltre alle associazio­ni politiche e sindacali, che tra l’altro non potranno ritenere fuori campo Iva le entrate derivanti da raccolta fondi organizzat­a in concomitan­za di manifestaz­ioni propagandi­stiche.

Iniziare il 2021 con un cambio di regime così rilevante renderà ancora più difficile il compito a chi amministra le associazio­ni, dato che la pandemia è ancora in corso e non si conoscono gli effetti economici dell’anno che sta per concluders­i, nel quale gran parte delle attività sono rimaste bloccate.

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