Paradosso Tari, niente stop sugli esercizi chiusi per il Covid
Dopo il 31 ottobre impossibile introdurre sconti sulla tariffa Serve una norma che consenta di decidere le deroghe in giunta
I ristoranti, come molti altri esercizi commerciali, saranno costretti a pagare la Tari anche se chiusi o parzialmente chiusi dalle recenti restrizioni antipandemia.
La conclusione, già segnalata su questo giornale (Sole ( Sole 24 Ore del 4 novembre) cozza con il noto principio del «chi inquina paga». Da settimane si sollecita il Governo per una norma: le occasioni ci sono state, ma la volontà no.
Ovviamente chi risponde in prima persona sono i sindaci. Tuttavia non è possibile ripetere le agevolazioni e riduzioni concesse nel primo lockdown, perché dovevano essere replicate entro il termine di approvazione del bilancio di previsione, scaduto al 31 ottobre.
Nessuna agevolazione o riduzione può essere disposta, quindi, per la Tari tributo o la Tari corrispettiva, anche se le risorse per coprire queste riduzioni ci sarebbero, potendosi far ricorso al fondo per l’esercizio delle funzioni comunali previsto dai Dl 34/2020 e 104/2020.
Ovviamente, considerando che siamo ormai a dicembre, occorre anche derogare ai criteri ordinari di approvazione, permettendo alla giunta comunale di intervenire con riduzioni specifiche, riservate ai codici Ateco chiusi, o con attività ridotte, e rapportate ai giorni di chiusura, magari prevedendo per legge una percentuale massima di riduzione concedibile.
Più complicata, invece, appare la strada dei contributi, non solo per l’obbligo di operare la ritenuta del 4%, ma anche per tutti gli obblighi connessi agli aiuti di Stato.
Ma i problemi per la Tari non finiscono certo a dicembre. Anzi ne arriveranno ben altri, e ben più pesanti.
Come si ricorderà, l’articolo 107 del Dl 18/2020 ha dato la possibilità ai Comuni di confermare per il 2020 le tariffe della Tari e della tariffa corrispettiva approvate per il 2019. La stessa disposizione però prevede che il Pef 2020, il primo dell’era Arera, dovrà essere approvato entro il 31 dicembre. L'eventuale conguaglio tra i costi risultanti dal Pef per il 2020 e i costi determinati per l'anno 2019 «può» essere ripartito in tre anni, a decorrere dal 2021.
Nella variegata Italia, nelle aree dove ci sono le Ato, i Pef dovranno essere approvati/validati entro il 31 dicembre dalle autorità d’ambito. Ma il Comune ne dovrà prendere atto, anche dopo il 31 dicembre, al fine di decidere cosa fare dell’eventuale conguaglio: se finanziarlo con proprie risorse o caricarlo nel Pef 2021 e nei due seguenti.
Si tratta di una decisione che incide sulle tariffe all’utenza finale, e non c’è dubbio che sia di competenza comunale. Nelle aree dove, invece, non sono presenti le Ato, è il Comune che dovrà fare tutto entro il 31 dicembre.
Per i Comuni che approvano il bilancio entro il 31 dicembre, servirebbe anche il Pef 2021, ma questa sembra un’utopia, anche perché occorre considerare gli effetti della pandemia che non si esauriranno certo col capodanno.
Dulcis in fundo, dal 1° gennaio 2021 entra in vigore la parte del Dlgs 116/2020 che ha riscritto profondamente le regole dei rifiuti, eliminando la categoria dei rifiuti assimilati e dando la possibilità per le utenze non domestiche di uscire dal servizio pubblico. Qui occorrerà un serio e tempestivo intervento normativo di raccordo tra normativa fiscale e ambientale.
Ma le questioni sul piatto sono veramente tante, e tutte possono incidere sugli equilibri tariffari tra utenza domestica e non domestica, con potenziali aumenti anche a due cifre. Nasce da qui la richiesta di Anci di rinviare l’applicazione di un anno.