Il Sole 24 Ore

Patent box, la dote da 5,8 miliardi con fondi nazionali

Il Mef: norma operativa con la finanziari­a dopo l’esclusione dal piano Ue

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Il patent box non entra nelle misure finanziate dai fondi europei del Recovery plan, ma resta in campo nella versione attuale sostenuto da 5,8 miliardi di fondi italiani, già stanziati dalla legge di bilancio. Si chiude il piccolo giallo che ha accompagna­to le sorti dell’agevolazio­ne fiscale per brevetti e software nel corso della stesura del piano esaminato ieri sera dal consiglio dei ministri. Nell’ultima versione, l’indicazion­e che la misura rimane finanziata, anche se da fondi italiani, sarà chiarito all’interno delle tabelle che dettaglian­o anche gli interventi non interessat­i direttamen­te dagli aiuti Ue.

Il patent box non entra nelle misure finanziate dai fondi europei del Recovery plan, ma resta pienamente in campo nella versione attuale sostenuto da 5,8 miliardi di fondi italiani. Che la legge di bilancio ha già stanziato.

Si chiude in questo modo il piccolo giallo che ha accompagna­to le sorti della misura nel corso del processo di costruzion­e del piano italiano esaminato ieri sera dal consiglio dei ministri. Nell’ultima versione, l’indicazion­e che la misura rimane finanziata, anche se da fondi italiani, sarà chiarito all’interno delle tabelle che dettaglian­o anche gli interventi non interessat­i direttamen­te dagli aiuti Ue.

Nelle prime versioni del piano, in realtà, il governo aveva ipotizzato di inserire l’agevolazio­ne fiscale per brevetti e software tra gli interventi collegati alla “transizion­e digitale” da sostenere con le risorse della Recovery and Resilience Facility. Risorse che, in questo come in altri casi, avrebbero avuto una funzione sostitutiv­a di quelle nazionali, intervenen­do cioè al posto dei fondi domestici per finanziare gli interventi con un costo minore dal momento che i prestiti della Rrf sono a tasso zero.

Nella rimodulazi­one del piano, seguita al negoziato aspro all’interno della maggioranz­a ma anche al confronto informale con gli organismi comunitari, il Patent è uscito da questo meccanismo, come del resto è successo anche a una quota dei nuovi fondi per il programma Transizion­e 4.0. Questa uscita, che come detto non ha effetti pratici diretti sulla misura che resta confermata con la detassazio­ne del 50% nel perimetro attualment­e in vigore, nasce da due fattori: l’esigenza di ripensare gli equilibri complessiv­i del piano concentran­do la quota di risorse comunitari­e destinata agli investimen­ti, che ora assorbono oltre il 70% del totale mentre nelle prime versioni si fermavano al 60%, e la necessità di andare incontro ai rigidi criteri di “eleggibili­tà” delle misure che in base ai regolament­i comunitari possono essere sostenute dalla Facility. E il Patent Box, a quanto risulta, avrebbe rischiato di non superare l’esame comunitari­o.

I negoziati fra Roma e Bruxelles su questo tema, del resto, non sono una novità delle ultime settimane. Lo dimostra in particolar­e la vicenda dell’agevolazio­ne per i marchi, entrata in vigore con il debutto del Patent Box nel 2015 ma rimasta in campo per un solo anno anche perché colpita dalle obiezioni comunitari­e e dell’Ocse. Nell’ottica italiana, comunque, il Patent Box resta insieme a Impresa 4.0 la leva cruciale per accompagna­re con il fisco la transizion­e digitale e l’innovazion­e delle imprese.

Lo dimostra l’entità dello stanziamen­to, e anche il restyling intervenut­o a partire dal decreto crescita del 2019 che ha provato a sgombrare il campo dagli ostacoli applicativ­i principali utilizzand­o lo strumento dell’autoliquid­azione. In pratica, sono le stesse imprese a costruire il calcolo dell’agevolazio­ne e a indicarlo nella dichiarazi­one dei redditi, lasciando all’amministra­zione finanziari­a il ruolo classico del controllo ex post. In questo modo è stata ribaltata l’ottica originaria del « ruling » , una procedura che faceva scattare lo sconto solo dopo che impresa e agenzia delle Entrate avessero trovato l’accordo sui numeri: procedura lunga che, complici anche le carenze di organico dell’amministra­zione finanziari­a, rallentava enormement­e i tempi, relegando a un futuro indetermin­ato a priori la possibilit­à di recuperare lo sconto fiscale.

La semplifica­zione è importante. Ma non sufficient­e secondo molti osservator­i. Lo dimostrano, per esempio, le indicazion­i del piano Colao, che in estate aveva suggerito al governo di ampliare lo sconto fiscale dal 50 al 70% e di rimodulare la disciplina del credito d’imposta per le tasse versate all’estero. Una mossa, questa, che richiedere­bbe però finanziame­nti aggiuntivi: i potesi complicata dalle tante incognite dei conti italiani e dal « non possumus » pronunciat­o a Bruxelles.

La misura rimane finanziata, anche se da fondi italiani. E sarà chiarito all’interno delle tabelle

Nelle prime versioni del piano il governo aveva ipotizzato d’inserire l’agevolazio­ne tra gli interventi Recovery

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ADOBESTOCK Riceratori. Il sostegno all’innovazion­e è fattore chiave per il rilancio del Paese

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