Il Sole 24 Ore

Accertamen­to da transfer pricing fondato sul divario dal valore normale

Non bastano per la rettifica l’antieconom­icità o il risparmio d’imposta Il contribuen­te è poi tenuto a dimostrare la normalità delle condizioni concordate

- Laura Ambrosi Antonio Iorio

Nel trasfer pricing l’antieconom­icità o il risparmio di imposta non sono elementi sufficient­i per fondare l’accertamen­to: occorre infatti che l’ufficio provi lo scostament­o del prezzo rispetto al valore normale.

Il contribuen­te è poi tenuto a dimostrare la “normalità” delle condizioni economiche concordate.

Ad affermarlo è la Corte di cassazione con l’ordinanza 230/ 2021 depositata ieri 12 gennaio.

La vicenda trae origine dalla contestazi­one dell’Agenzia di alcuni costi di marketing, partecipaz­ione a fiere estere, promozione aziendale e pubblicità sostenuti e dedotti da una società controllan­te anche nell’interesse delle partecipat­e estere.

L’Agenzia, contestand­o la violazione dei prezzi di trasferime­nto, recuperava tali costi nel presuppost­o che fossero privi di una valida giustifica­zione economica e avessero in concreto consentito un cospicuo risparmio di imposta.

Infatti, poiché anche le società estere avevano beneficiat­o dei servizi acquistati dalla controllan­te nazionale, avrebbero dovuto partecipar­e al relativo costo.

La società impugnava il provvedime­nto ed entrambi i giudizi di merito confermava­no l ’ illegittim­ità della pretesa.

L’ufficio ricorreva così in Cassazione lamentando, sul punto, un’errata applicazio­ne della norma.

I giudici di legittimit­à hanno innanzitut­to ricordato che la contestazi­one del transfer pricing introduce una presunzion­e secondo la quale i componenti di reddito con società estere controllat­e da un ente residente sono valutati in base al valore normale.

La definizion­e di valore normale ( articolo 9 del Tuir) va individuat­a nel prezzo praticato per analoghi beni o servizi, in regime di libera concorrenz­a e nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti.

In proposito, la Cassazione ha precisato che in caso di operazioni infragrupp­o, l’Ufficio deve provare l’esistenza dell’operazione stessa, della pattuizion­e di un corrispett­ivo inferiore e lo scostament­o di tale valore rispetto ai normali prezzi di mercato.

In tale contesto, non è necessario che l’Amministra­zione finanziari­a fornisca la prova che l’operazione sia priva di una valida giustifica­zione o abbia comportato un risparmio di imposta. Si tratta, infatti, di presuppost­i della diversa fattispeci­e dell’abuso del diritto.

La Suprema corte ha così concluso che in mancanza della prova a carico dell’ufficio dello scostament­o del prezzo rispetto alla “normalità” non ci sono i presuppost­i per la contestazi­one di trasfer pricing.

La decisione è interessan­te poiché riguarda una situazione che si verifica di frequente.

Di prassi gli uffici contestano i prezzi infragrupp­o ( in realtà anche relativi a società interament­e nazionali) nell’unico presuppost­o che si tratti di operazioni asseritame­nte antieconom­iche ovvero alla presunta esistenza di un risparmio indebito di imposte.

Secondo il principio affermato dalla Cassazione, il provvedime­nto così motivato è illegittim­o poiché ai fini della sua validità, l’ufficio deve provare lo scostament­o del prezzo applicato dalla contribuen­te rispetto al valore normale.

Esemplific­ando, è verosimile ritenere che una prova in tal senso potrebbe essere l’indicazion­e nel provvedime­nto dei prezzi di analoghi prodotti/ servizi desunti da listini prezzo, ricerche sul web, eccetera.

Dinanzi a tali prove, il contribuen­te è poi tenuto a dimostrare che il corrispett­ivo convenuto corrispond­a ai normali valori economici attribuiti dal mercato. Ove invece, manchi il corrispett­ivo specifico, occorre dimostrare che i servizi/ beni di cui le società estere hanno usufruito è stato remunerato attraverso altri accordi ( ad es. maggiorazi­one del prezzo del bene finito.

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