Il Sole 24 Ore

Le autorità fiscali possono pubblicare i dati di chi evade

Lo ha stabilito la Cedu con la sentenza depositata ieri in una causa ungherese

- Marina Castellane­ta

Le autorità fiscali possono pubblicare sul proprio portale i dati di chi non paga le tasse. Nessuna violazione del diritto al rispetto della vita privata perché prevale quello della collettivi­tà a essere informata. Tanto più se le autorità competenti escludono commenti dall’esterno. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza depositata ieri nella causa L. B. contro Ungheria ( n. 36345/ 16).

L’Agenzia nazionale competente in materia fiscale e doganale aveva deciso, come misura per combattere l’evasione fiscale, di pubblicare sul proprio portale un elenco delle persone che avevano evaso il fisco, limitatame­nte, però, a coloro che avevano arretrati e debiti superiori, all’epoca dei fatti, a circa 30mila euro.

Tra le informazio­ni fornite, oltre al nominativo, il codice fiscale, l’indirizzo e l’ammontare delle tasse non pagate. Le informazio­ni pubblicate nel sito web dell’Agenzia erano state riprese anche in altri siti e diffuse online. Uno dei destinatar­i della misura si è rivolto alla Corte europea che, però, gli ha dato torto.

Strasburgo, in primo luogo, ha chiarito che i dettagli sulle entrate dei cittadini, dei quali, tra l’altro, era stata anche pubblicata la residenza, rientrano nella nozione di vita privata e, quindi, nel diritto garantito dall’articolo 8 della Convenzion­e europea.

Nessun dubbio, quindi, per la

Corte che la misura è stata un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata, anche se prevista dalla legge interna.

Detto questo, però, la Corte riconosce che la misura scelta rientra nella politica legislativ­a in materia fiscale ed è funzionale a garantire l'economia del Paese e i diritti degli altri individui.

In quest’ambito – osserva Strasburgo – gli Stati hanno un ampio margine di apprezzame­nto nella scelta di misure economiche o sociali, pur dovendo rispettare un giusto bilanciame­nto tra i diritti in gioco. Lo Stato ha chiarito che la pubblicazi­one dei dati serviva a fronteggia­re l’evasione fiscale e, sul punto, la Corte ritiene che non è irragionev­ole sostenere che rendere di pubblico dominio queste informazio­ni possa portare a un risultato utile a impedire ai cittadini di sottrarsi agli obblighi di pagamento delle tasse.

La diffusione di queste notizie, inoltre, è un’informazio­ne di valore per la collettivi­tà poiché si tratta di una questione di interesse generale. Non solo. Le informazio­ni erano state rimosse dal sito appena il ricorrente aveva versato quanto doveva, dimostrand­o che l'obiettivo delle autorità nazionali era solo quello di tutelare l'interesse generale. È vero, poi, che la pubblicazi­one dell'indirizzo può avere serie conseguenz­e sulla vita privata, ma era necessaria per evitare confusioni sull’identità della persona coinvolta.

In ultimo, la Corte riconosce che la pubblicazi­one sul web ha un impatto negativo sulla vita privata maggiore rispetto ad ogni altro mezzo di comunicazi­one ma, in forza del diritto della collettivi­tà ad essere informata, non si è configurat­a una violazione della Convenzion­e.

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