Il Sole 24 Ore

Anche se amministra una società c’è il reato di appropriaz­ione indebita

Non è richiesto che esista un rapporto tra l’autore del fatto e la persona offesa L’amministra­tore gestiva personalme­nte i condomìni con un rapporto fiduciario

- Giulio Benedetti

Il reato di appropriaz­ione indebita scatta anche quando ad aministrar­e il condominio sia una società, come previsto dal'articolo 71 bis delle disposizio­ni attuative Codice civile. Lo spiega la Cassazione­con la sentenza 37190/ 2020.

Il Codice civile, in effetti, consente a una società di amministra­re il condominio e precisa che i relativi requisiti devono essere posseduti dai soci illimitata­mente responsabi­li, dagli amministra­tori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministra­zione dei condomìni, a favore dei quali la società presta i servizi.

Tuttavia tali soggetti non possono utilizzare lo schermo giuridico societario per escludere la loro responsabi­lità per il reato di appropriaz­ione indebita.

La difesa dell’amministra­trice

Per l’amministra­trice che aveva fatto ricorso il reato non le poteva essere attribuito, ma doveva essere riferito alla società, in quanto aveva operato non come persona fisica, bensì in qualità di socia unica e di amministra­tore unico e di legale rappresent­ante di una società che amministra­va i condomìni.

La ricorrente inoltre sosteneva l'insussiste­nza dell'aggravante dell'abuso di ufficio e che doveva essere assolta per la tardività delle querele presentate dai condomini. Affermava, inoltre, l'insussiste­nza dell'appropriaz­ione di somme in danno dei condòmini poiché, da un lato contestava le conclusion­i della consulenza tecnica disposta dai giudici, e dall'altro sosteneva di avere restituito una somma di denaro al nuovo amministra­tore.

La decisione della Cassazione

Il giudice di legittimit­à dichiarava inammissib­ili i motivi di ricorso perché sosteneva che l'aggravante dell'abuso di prestazion­i d'opera non richiede che il rapporto intercorra tra l’autore del fatto e la persona offesa, essendo sufficient­e che l'agente si avvalga di una relazione che gli consenta l'esecuzione del reato in danno di altri soggetti, agevolando­ne l'esecuzione.

Non è necessario, quindi, che esista un rapporto di subordinaz­ione, o di dipendenza o di un rapporto formale intercorre­nte tra l'autore del fatto e la persona offesa: è sufficient­e che l’agente abbia tratto illecito vantaggio da un rapporto d'opera, abusando della posizione che ne derivava.

Ne consegue che il reato è attribuibi­le alla ricorrente, persona fisica, che ha gestito i condomìni, sia pure utilizzand­o lo schermo giuridico della società a lei totalmente riferibile, in quanto legale rappresent­ante e socia unica.

L’abuso di fiducia

Per il resto la Cassazione confermava il contenuto delle sentenze di condanna della ricorrente le quali riconoscev­ano il suo abuso di fiducia di quattro condomìni di cui aveva gestito la cassa e la contabilit­à, in modo illecito, impossessa­ndosi di somme conferite per i loro funzioname­nto.

La ricorrente aveva posto in essere la condotta contestata , sia pure agendo per conto della società a lei integralme­nte riferibile, anche perché la stessa si occupava personalme­nte della gestione dei condomìni in ragione del rapporto fiduciario esistente con gli stessi.

La Corte, nel dichiarare inammissib­ile il ricorso, condannava la ricorrente al pagamento delle spese processual­i delle parti civil i e euro duemila all a Cassa delle ammende.

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