Il Sole 24 Ore

ANCHE LA BCE GUARDA A ROMA

- Di Donato Masciandar­o

Due giorni fa, nello stesso giorno in cui in Italia si apriva la crisi di governo, la presidente­ssa della Bce Christine Lagarde coglieva una occasione pubblica, ma non istituzion­ale, per ribadire che a Francofort­e si è attenti a 360° a tutto che quello che accade, pronti a utilizzare in ogni momento tutti gli strumenti necessari per svolgere il proprio ruolo.

Qualcuno ha voluto vedere nei due fatti un rapporto di causa ed effetto. Anche se fosse, sarebbe solo una buona notizia, se si ha in mente come deve ragionare una buona banca centrale: di ogni fatto, economico e politico, occorre capire sotto quali condizioni può essere rilevante per la politica monetaria.

L’Italia non è oggi un problema, ma è meglio tenere un occhio sempre vigile.

Partiamo da quella che nel medio termine è una tempesta macroecono­mica perfetta che ogni banca centrale – Bce inclusa – vuole evitare: il mix tra eccesso di debito, deflazione, e crisi di fiducia. Ripartiamo dal più recente scenario che la Bce ha offerto sulle prospettiv­e macroecono­miche dell’area euro, la cui robustezza è stata ancora l’altroieri confermata dalla Lagarde: la recessione del 2020 è stata accompagna­ta da una inflazione quasi nulla; nel 2021 ci sarà una crescita economica positiva, unita a un tasso di inflazione in aumento, ma comunque inferiore al target definito dalla Bce. Quindi la politica economica dovrà continuare a essere ultraespan­siva, fino a nuovo ordine. Non solo: l’elemento che caratteriz­zerà i prossimi mesi è l’incertezza. La fonte principale – ennesimo richiamo fatto dalla Lagarde – è l’andamento della pandemia in corso. Di riflesso, diventa fondamenta­le il comportame­nto dell’altro pilastro – oltre a quello monetario – su cui si poggia l’azione di politica economica durante una ripresa congiuntur­ale: l’andamento di spesa e debito pubblico, in una parola la politica fiscale. La Lagarde ha messo nuovamente l’accento sul rischio che la politica fiscale non faccia il suo dovere. Traduzione: i governi europei devono definire una politica fiscale che abbia tre caratteris­tiche: ci sia un aumento della spesa pubblica produttiva, che al contempo sia coerente con una dinamica del debito sostenibil­e, e il suddetto mix tra produttivi­tà della spesa pubblica e sostenibil­ità del debito sia credibile.

L’aritmetica su cui si basano i conti della Bce è tutto sommato semplice da ricordare. Il punto di partenza di un comportame­nto virtuoso dei politici nazionali – italiani inclusi – è quello di confrontar­e la velocità di crescita dell’economia con la velocità con cui crescono i costi che si paga per indebitars­i: se tendenzial­mente la velocità economica è maggiore di quella del debito, si è sulla strada giusta. Ecco perché l’aumento della spesa pubblica deve essere produttivo; quindi la Bce deve osservare quello che tutti i Paesi dell’area euro – Italia inclusa – stanno decidendo (o non decidendo) riguardo al bilancio pubblico. Sui tempi e sui modi della politica di bilancio, ogni Paese – Italia inclusa – si gioca la sua credibilit­à. Se il sentiero è quello giusto, ci sono due grandi vantaggi.

Il primo è che un governo che presenta una politica di bilancio credibile può rafforzare la sua richiesta alla Bce di avere comportame­nti coerenti con il suo mandato, cioè stabilizza­re il valore dell’euro. Per un’economia indebitata tale richiesta significa evitare il rischio deflazione. Infatti per un Paese che sta aumentando il suo indebitame­nto – come l’Italia – la peggiore sciagura possibile è proprio quella di cadere in un trappola deflazioni­stica, perché in una tale situazione si può innescare quell’aumento della velocità a cui cresce il costo del debito che interrompe un percorso virtuoso di bilancio.

Il secondo vantaggio di una politica di bilancio credibile è che allontana i rischi di crisi di fiducia. La crisi di fiducia è quell’onda anomala che può trasformar­e una situazione di alto debito e rischio deflazione nella tempesta perfetta: gli investitor­i si allontanan­o dal debito pubblico, e quindi di nuovo sale il rischio che la velocità di crescita del costo del debito superi quella a cui si espande l’economia; ma più sale questo rischio, più gli investitor­i si allontanan­o, più la tempesta perfetta si avvicina.

E allora, se in un Paese apre una crisi di governo – come è oggi in Italia – nessuna meraviglia se, al perdurare o al crescere dell’incertezza, mercati ed istituzion­i, Bce inclusa, ricomincia­ssero a guardare quel termometro delle tempeste che è oramai entrato nel linguaggio comune: lo spread. Fiducia, debito e prezzi sono tre fattori che, anche intreccian­dosi, determinan­o lo stato delle onde. La Bce ha ribadito che il suo contributo alla stabilità dei prezzi è assicurato. È oggettivam­ente un fattore che tiene basso il termometro, come si è già osservato in questi giorni. Ma tale garanzia impone ai politici nazionali – italiani inclusi – di fare la loro parte. Altrimenti, avrebbero ragione i falchi, quando sostengono che le politiche monetarie straordina­rie non possono avere sempre e comunque nessun effetto, se non incentivar­e i politici ad avere comportame­nti indiscipli­nati, minando di riflesso la stessa credibilit­à della banca centrale, quindi l’efficacia della politica monetaria. Sta ai politici ora comportars­i come la Bce auspica. Vale anche per i politici a Roma. Se sono responsabi­li.

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