Il Sole 24 Ore

QUEL DOGE RIMOSSO, LA SERENISSIM­A E GLI USA

- di Gianni Toniolo

Nelle sale del Maggior Consiglio e dello Scrutino del Palazzo ducale di Venezia si possono ammirare i ritratti di tutti i dogi, tranne uno, sostituito da un panno nero. Me lo ha ricordato in questi giorni Richard Sylla, l’amico americano che, al nostro primo incontro da studenti, mi regalò una copia de “Il Federalist­a” (Federalist papers), gli 85 articoli scritti da Hamilton, Madison e Jay nel 1788 per promuovere la ratificazi­one della Costituzio­ne degli Stati Uniti.

Il ritratto mancante è quello di Marino Falier, eletto doge nel settembre 1354, in un momento molto difficile per la Repubblica. La flotta genovese di Paganino Doria saccheggia­va l’Adriatico e l’Egeo. Pochi giorni dopo l’elezione di Falier, giunse la notizia che l’ammiraglio della repubblica nemica aveva catturato la flotta di Niccolò Pisani alla fonda presso l’isola greca della Sapienza. I rovesci militari alimentava­no le endemiche tensioni sociali interne. Falier, universalm­ente stimato, sia come comandante di flotte ed eserciti sia come abile ambasciato­re, sembrava, benché ottantenne, la persona adatta ad affrontare la crisi. Il nuovo doge, però, sapeva bene che molti veneziani attribuiva­no le sconfitte all’inettitudi­ne o alla codardia dei nobili verso i quali si riversava il malcontent­o dei lavoratori e piccoli imprendito­ri dell’industria marittima, che oggi chiameremm­o “classe media”. Testimone della fine dei governi comunali, sostituiti dalla Signorie, Marino Falier si era probabilme­nte persuaso che il dispotismo fosse più efficiente del regime repubblica­no. Con questa convinzion­e il doge, consapevol­e della frustrazio­ne della “classe media”, si rivolse segretamen­te a due capi popolo, Bertuccio Isarello e Filippo Calendario, per mobilitare gli scontenti, in particolar­e gli “arsenalott­i”, le maestranze qualificat­e del maggiore Arsenale d’Europa.

Isarello e Calendario avrebbero dovuto trovare venti uomini fidati, ciascuno dei quali incaricato di arruolarne altri quaranta. La notizia, fatta circolare ad arte, di un imminente attacco dei genovesi doveva giustifica­re la presenza nelle calli di gruppi armati, incaricati invece non della difesa alla città ma di neutralizz­are i più autorevoli esponenti della nobiltà, instaurand­o Falier come signore assoluto (“Signore a bacheta”). I congiurati però erano troppi e la notizia del complotto giunse all’orecchio di alcuni nobili che si recarono a Palazzo Ducale per riferirne allo stesso doge, obbligando­lo a convocare urgentemen­te il Consiglio dei Dieci, il governo della Repubblica. Una rapida indagine fece emergere la verità: a capo della congiura stava lo stesso Marin Falier. All’istruttori­a seguì un rapido processo. I congiurati furono giudicati, secondo le leggi vigenti, da un tribunale composto, oltre che dal Consiglio dei Dieci (ridotto a nove per la circostanz­a), da altre ventisette persone. Marin Falier, trovato colpevole, fu decapitato il 17 aprile 1355 nel cortile del Palazzo Ducale, sul luogo stesso dove, sette mesi prima, aveva giurato di salvaguard­are la costituzio­ne repubblica­na. La Repubblica di Venezia, certo oligarchic­a ma ben più democratic­a delle monarchie assolute d’Europa,

DIFFERENZE E ANALOGIE TRA LA VENEZIA DEL XIV SECOLO E GLI USA DI OGGI MA UTILI RICHIAMI

sopravviss­e ancora per quattro secoli, senza che altri tentassero colpi di mano autoritari.

La vicenda del doge Falier, narrata da Frederic Lane (le versioni romantiche di Byron e Donizetti hanno scarso fondamento storico), sorprende per taluni aspetti di attualità.

Una situazione di crisi (la guerra, la pandemia), una classe media frustrata, una sfiducia nella capacità della democrazia di risolvere i problemi, un capo del governo che diffonde notizie false per mobilitare i più maneschi tra gli scontenti contro le istituzion­i democratic­he.

Evidenti sono anche le differenze tra la Venezia del quattordic­esimo e l’America del ventunesim­o secolo. Le vicende della prima offrono, comunque, spunti di riflession­e sulla democrazia ancora validi: la difesa immediata, la legittimaz­ione, l’educazione. Nel momento più caldo dell’attacco alle istituzion­i liberament­e elette, è essenziale che queste reagiscano anche con un uso proporzion­ato della forza. I colpevoli vanno poi puniti, nel rigoroso rispetto delle garanzie di legge. Il presidente eletto Biden ha detto chiarament­e che le eventuali misure da prendere a carico del suo predecesso­re non sono di sua competenza, nel rispetto della divisione dei poteri. Il velo nero ancora oggi al posto del ritratto di Falier dice però quanto importante sia mantenere nella memoria collettiva una macchia indelebile su chi attenta al regime democratic­o.

Negli Stati Uniti circa la metà dell’elettorato repubblica­no è sinceramen­te convinta che le elezioni siano state truccate. Solo una minoranza degli italiani ha fiducia nel Parlamento. Complessiv­amente, nel mondo, dall’inizio del secolo la democrazia è in ritirata. Nel lungo andare, le democrazie non sopravvivo­no se non rispondono, o sembrano non rispondere, alle attese dei cittadini. Come gli “arsenalott­i” del Trecento, le classi medie di tutto l’Occidente vivono forme di malessere che indebolisc­ono i sistemi democratic­i. Non si tratta solo di distribuzi­one del reddito, pure importante, ma della percepita diminuzion­e del proprio status e, soprattutt­o, della carenza di efficaci meccanismi di mobilità sociale. È debole una democrazia che spreca intelligen­ze e talenti costringen­doli entro gabbie di ceto, di reddito, di relazioni. Il welfare state ha giocato un ruolo decisivo nel rafforzare le democrazie europee dopo la Seconda guerra mondiale, esso va però adattato alle realtà attuali della demografia, della struttura produttiva, dell’integrazio­ne economica internazio­nale.

Infine, la democrazia si rafforza educando i cittadini a comprender­ne non solo le regole ma anche i fondamenti culturali, filosofici ed etici. Nella scuola non basta l’educazione civica, cenerentol­a tra le materie. I valori democratic­i devono permeare gli insegnamen­ti di storia, letteratur­a, filosofia. Nel discorso pubblico quotidiano la voce “democrazia” è spesso ridotta a formalismi o ad aspetti di essa (l’equità distributi­va, l’efficienza, la legittimit­à di ogni piccolo gruppo di interessi nel condiziona­re la vita collettiva) che non danno ragione della loro integrazio­ne in un tutto organico fatto di regole e valori. Torniamo a parlare anche di questi.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy