Da Mattarella la spinta ad accelerare i tempi del chiarimento in Aula
Via libera alla decisione comunicata dal premier di parlamentarizzare la crisi
Già nell’incontro prima che deflagrasse la rottura, Sergio Mattarella aveva chiesto a Conte di imprimere alla crisi tempi brevi e di tornare a riferire al più presto come intendesse muoversi. Così ieri nel primo pomeriggio il premier è tornato al Quirinale per chiarire al capo dello Stato l’iter che ha in mente di seguire dopo le dimissioni delle due ministre di Iv e lo strappo di Renzi.
Nel colloquio sono state definite le tappe per un veloce chiarimento in Parlamento – lunedì alla Camera e martedì al Senato - perché la scelta del premier è stata quella di non rassegnare il mandato subito nelle mani di Mattarella ma di seguire la strada della crisi parlamentare. Una strada pienamente legittima e del resto la Costituzione non detta regole rigide in questa materia prevedendo solo che i Governi smettano di essere in carica nel momento in cui ricevono una sfiducia. Tra l’altro all’inizio della Prima Repubblica si era dibattuto sulla costituzionalità o meno delle cosiddette crisi extra-parlamentari, quelle che non solo nascono ma si sviluppano al di fuori di Camera e Senato. Dunque Mattarella non ha avuto nulla da obiettare sulla scelta di Conte di «promuovere in Parlamento l’indispensabile chiarimento politico mediante comunicazioni» e ne «ha preso atto» come si legge nel comunicato diffuso dal Colle.
E del resto non potrebbe opporsi a una parlamentarizzazione della crisi anche se questo comporta la caccia dei numeri mancanti perché, a differenza dell’inizio della legislatura quando doveva ancora formarsi un Governo, in questa circostanza l’Esecutivo c’è ed è nel pieno diritto di chiarire alle Camere se ha ancora una maggioranza. Alla fine, come si diceva da giorni, si andrà alla conta e in questo percorso scelto dal premier torna in mente il precedente del Governo Berlusconi del 2010, quando dopo lo strappo di Fini arrivarono a sostegno del leader di Forza Italia i responsabili.
Come si sa, il capo dello Stato auspica che la maggioranza abbia chiari contorni ma se nel voto di lunedì e martedì Conte dovesse avere i numeri, resterebbe in carica anche se Mattarella continuerà a spingere per la successiva costituzione di un gruppo proprio per dare un perimetro e un progetto politico all’eventuale ripartenza del Governo.
Ieri ad aprire ufficialmente all’ipotesi di nuovi ingressi in coalizione è stato il ministro Franceschini: «Non siamo più in un sistema bipolare quindi il cambio di schieramento non è un ribaltone e le maggioranze si cercano in Parlamento, apertamente, alla luce del sole». Una scelta politica di rottura con Renzi e di ricerca di un nuovo assetto di cui al Quirinale prendono atto aspettando di vedere quali saranno gli esiti.
Intanto nell’incontro di ieri al Colle con Conte, il capo dello Stato ha firmato il decreto con le dimissioni delle due ministre renziane. Il premier ha preso l’interim dell’Agricoltura (lasciato da Teresa Bellanova) mentre per quanto riguarda la Famiglia – che non è un ministero ma una delega da parte del presidente del Consiglio a un ministro senza portafoglio - è tornato a esercitare le competenze che erano state delegate alla Bonetti.