Lo stop di Zingaretti a Renzi apre la strada alla conta
Franceschini: niente di male a cercare i voti. Ma i Dem non chiudono del tutto a Iv
Punto primo: impensabile la collaborazione con la destra sovranista, e quindi no a qualsiasi ipotesi di governo istituzionale o di salute pubblica. Punto secondo: l’«inaffidabilità» di Matteo Renzi è tale da «minare la stabilità di qualsiasi scenario». Lo schiaffone in faccia al leader di Italia Viva e la condanna, che appare senza appello, della sua decisione di ritirare la delegazione dal governo arriva direttamente dal segretario del Pd Nicola Zingaretti all’ora di pranzo. Ed è uno schiaffone decisivo per aprire la strada al premier Giuseppe Conte verso una conta in Senato con un minimo di paracadute dopo che nei giorni scorsi da Largo del Nazareno avevano storto più di un naso all’idea di una maggioranza raccogliticcia di “responsabili” insistendo invece con il premier Giuseppe Conte sulla necessità di trovare la quadra con Renzi.
Ma, certo, lo strappo avvenuto con le dimissioni delle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e del sottosegretario Ivan Scalfarotto subito dopo le parole di apertura di Conte («avanti solo con il sostegno di tutta la maggioranza») è stato preso malissimo da Zingaretti, che fino all’ultimo minuto prima dell’annuncio di Renzi in conferenza stampa si è speso personalmente per la ricucitura. E il segno che le distanze sono al momento enormi è la netta presa di posizione del capodelegazione del Pd al governo Dario Franceschini, fin qui infaticabile pontiere: «Le maggioranze in un sistema non più bipolare si cercano e si costruiscono in Parlamento e non c’è niente di male nel dialogare apertamente e alla luce del sole con forze politiche disponibili a sostenere un governo europeista in grado di gestire l’emergenza sanitaria, il Recovery e di approvare una legge elettorale su base proporzionale». È il definitivo sdoganamento da parte del Pd, fino a poche ore fa contrario, all’operazione “responsabili” su cui punta Conte per il voto di lunedì a Palazzo Madama.
Eppure, anche se la fotografia della giornata di ieri con la presa di posizione del Pd nel suo ufficio politico è quella della definitiva separazione, i ponti con Italia Viva non sono del tutto saltati. Soprattutto da parte dello stesso Franceschini, che infatti non ha nominato Renzi durante il suo intervento ma si è appellato a tutte le forze europeiste del Parlamento, e dei capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci (quest’ultimo apertamente indispettito dalle parole del segretario: «Iv inaffidabile? Chiedete a Zingaretti»). «Se da parte di Renzi dovesse arrivare un segnale politico nuovo - è il ragionamento che si fa tra i dem in Parlamento e al governo - non potremmo non tenerne conto». L’idea di fondo sembra piuttosto quella di dimostrare la perduta centralità di Renzi e quindi tornare ad aprire la porta su altre basi. Anche per non restare “ostaggio” di un gruppo composito e dunque non coerente politicamente come quello che si costituirà pro Conte in caso di esito positivo per il premier della conta di lunedì. Né sono sfuggite ai piani alti del Pd le parole di apertura giunte ieri dal coordinatore di Italia Viva Ettore Rosato: «Da Conte ci aspettiamo che prenda un’iniziativa per ricucire la coalizione. Non pensiamo di avere ragione su tutto ma una coalizione non può non avere un progetto. In tante occasioni abbiamo riconosciuto che il premier ha fatto bene. Ora, però, non c’è bisogno di un governo tentennante».