Il Sole 24 Ore

Dalla Corte un salto di qualità nel conflitto Stato-Regioni sulla sanità

La decisione potrebbe pesare anche sul confronto sul Recovery Plan

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L’ordinanza con cui ieri la Corte costituzio­nale ha sospeso la legge della Val d’Aosta sulle aperture delle attività nell’emergenza Covid segna un altro salto di qualità nel conflitto endemico fra Stato e Regioni che ha caratteriz­zato tutta la gestione della crisi sanitaria. E che, soprattutt­o, promette di scrivere presto nuovi capitoli nella fase di confronto sul Recovery Plan. Le Regioni lo hanno già fatto sapere nelle riunioni tecniche e politiche delle ultime settimane sul piano: la geografia degli interventi che hanno una ricaduta territoria­le, cioè prima di tutto la totalità degli investimen­ti pubblici, dovrà passare dalla concertazi­one con i presidenti.

Le questioni sollevate dall’ordinanza vanno molto oltre la disciplina degli spostament­i fra i Comuni e la sorte, pur importante, degli esercizi commercial­i e dei ristoranti della Vallée. Lo dimostra prima di tutto lo strumento inedito della sospension­e, applicato per di più alla normativa di una Regione Autonoma, che nega la possibilit­à stessa per un governo locale di allentare le misure restrittiv­e anti-pandemia alla specificit­à del territorio, anche se in tutta la Valle d’Aosta vivono meno persone che nel più piccolo municipio di Roma. L’ordinanza, com’è naturale per la natura di un provvedime­nto “d’urgenza”, non entra nell’analisi specifica delle regole valdostane, e della qualità del loro possibile tratto meno restrittiv­o rispetto alla normativa statale, ma contesta alla radice l’intervento locale. E lo fa richiamand­o anche la competenza esclusiva dello Stato nella materia della profilassi internazio­nale, sancita da quell’articolo 117, comma 2 lettera q) della Costituzio­ne che secondo molti osservator­i il governo è stato decisament­e troppo timido a utilizzare. Come conferma, ultima puntata di una lunga serie di esempi, la girandola dei calendari regionali sulla ripresa delle lezioni in presenza nelle scuole superiori.

Guardando più alla sostanza che alla natura tecnica della decisione, la Corte fa scattare all’atto pratico una sorta di “clausola di supremazia” come quella più volte invocata nei dibattiti ricorrenti sulla necessità di riformare il Titolo V della Costituzio­ne. Una clausola prevista dalla riforma costituzio­nale del 2016 bocciata dal referendum, e rilanciata nei mesi scorsi dai progetti di riforma del governo Conte-2 che si sono però arenati sui tavoli politici.

Perché con l’eccezione dei sindaci, che in primavera avevano rimesso nelle mani dello Stato i loro poteri di ordinanza per evitare di moltiplica­re il caos, la pandemia è stata un detonatore dei conflitti fra il governo centrale e i presidenti di Regione, impegnati in trattative continue su tutti gli aspetti dei Dpcm che si sono susseguiti nel tentativo di frenare la diffusione dei contagi.

Intanto, anche se tutti gli occhi erano puntati sull’emergenza Covid, alla Corte costituzio­nale è continuato il tran tran ordinario delle battaglie sul Titolo V, che nel 2020 hanno prodotto altre 64 sentenze costituzio­nali in un ventaglio di temi che spaziano dal pubblico impiego all’ambiente, dall’edilizia all’energia, dalla concorrenz­a fino alle regole contabili.

I problemi nel rapporto StatoRegio­ni sono antichi come il Titolo V che ora compie 20 anni, e a un’origine tecnica accompagna­no un motore politico, spinto ora dal fatto che 15 Regioni su 20 sono guidate dal centro-destra all’opposizion­e a Roma.

L’accoppiata di questi problemi è destinata a riaffaccia­rsi nelle prossime settimane sul Recovery Plan. E allunga la lista delle incognite sulla governance del piano, sospese dallo scontro politico che ha portato alla crisi del Conte-2.

Per provare a garantire che i progetti viaggino secondo i tempi che saranno definiti dai cronoprogr­ammi ora in corso di revisione, tra ministero dell’Economia e Palazzo Chigi si stanno studiando le formule più utili a far scattare forme di potere sostitutiv­o centrale in caso di ritardi, anche perché il mancato rispetto dei tempi metterebbe a rischio gli stessi fondi europei che di fatto non finanziano i progetti ma rimborsano gli Stati per le spese effettuate. A patto, appunto, di saperle effettuare.

Ma il negoziato con le Regioni è destinato ad riaprirsi prima, nella costruzion­e del piano definitivo da presentare a Bruxelles. In tempi incompatib­ili con qualsiasi progetto di riforma costituzio­nale.

La pandemia è stata un detonatore dei conflitti fra governo e Regioni, impegnati in trattative continue sui Dpcm

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