Il Sole 24 Ore

Gas, scatta la maxi speculazio­ne In Europa volatilità da Bitcoin

Prezzi al record da due anni al traino del Gnl in Asia, poi un improvviso ribasso La corsa di fondi e utilities sull’olandese Ttf, il mercato oggi più liquido in assoluto

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Gas come il Bitcoin. Sono condizioni senza precedenti quelle in cui è precipitat­o il mercato, con i vertiginos­i rincari del Gnl in Asia che hanno innescato un’estrema volatilità sugli hub europei, dove le quotazioni subiscono oscillazio­ni sempre più violente, simili a quelle che caratteriz­zano gli scambi di criptovalu­te.

Al Ttf olandese – il principale hub del Vecchio continente, preso a riferiment­o anche per le nostre bollette – il gas a inizio la settimana è arrivato a guadagnare oltre il 20% in una sola seduta, spingendos­i fino a superare 28 euro per Megawattor­a per le consegne di febbraio, un record da due anni: un movimento di prezzo che non si era mai visto. In seguito c’è stata una caduta quasi altrettant­o precipitos­a, che tra volumi di scambio da primato ha riportato il contratto intorno a 20 euro, un valore comunque dieci volte superiore ai minimi della primavera scorsa, quando l’effetto Covid mandava a picco i mercati energetici.

Il rally e la successiva correzione non sono privi di giustifica­zioni dal punto di vista dei fondamenta­li. È un inverno molto freddo, i consumi corrono e il gas liquefatto va tutto in Asia – dove si registrano vere e proprie carenze di combustibi­le – costringen­doci ad accelerare le importazio­ni via tubo e ad attingere più del previsto alle scorte. L’innesco per le vendite, particolar­mente intense mercoledì e proseguite anche ieri, potrebbe essere arrivato banalmente dalle previsioni del tempo, che indicano temperatur­e in risalita. Ma molti indizi fanno pensare che ad amplificar­e la volatilità sia stata un’operazione speculativ­a, che alcuni trader attribuisc­ono a un grande hedge fund americano. È questa la voce raccolta da S&P Global Platts. In alternativ­a, potrebbe essere stato un grande operatore commercial­e, che ha chiuso frettolosa­mente una posizione di dimensioni importanti, innescando una reazione a catena.

La presenza di speculator­i sui mercati energetici europei non è una novità. Un paio d’anni fa c’erano già indizi di attività sospette anche in Italia, come aveva evidenziat­o un’inchiesta del Sole 24 Ore, pubblicata il 16 ottobre 2018. Da allora il fenomeno è diventato sempre più accentuato, soprattutt­o al Ttf. L’hub olandese è cresciuto al punto da diventare il più liquido al mondo, persino più liquido dell’Henry Hub statuniten­se, al centro di speculazio­ni così spericolat­e in passato da guadagnars­i il soprannome di Gas Vegas. Il centro dell’azione oggi si è spostato in Europa.

Al Ttf si muovono grandi utilities e imprese energivore anche asiatiche, che effettuano operazioni di hedging a copertura dell’acquisto di Gnl. E ci sono speculator­i finanziari, come quelli che comprano e vendono Bitcoin. La differenza è nella portata dell’impatto, che quando si tratta di energia coinvolge anche i consumator­i: imprese e famiglie tra qualche mese potrebbero pagare bollette più salate. Senza contare i potenziali danni per l’ambiente.

Il carbone sta infatti tornando alla ribalta, in Europa per una questione di convenienz­a – il gas è rincarato al punto da perdere competitiv­ità nella generazion­e elettrica – e in Asia perché non si trova abbastanza Gnl. Le utilities che non hanno saputo stimare in anticipo il fabbisogno oggi faticano a trovare carichi spot sul mercato, persino pagandoli a peso d’oro. Così la Cina, investita da un’ondata di gelo che non si verificava da quarant’anni, tra novembre e dicembre ha triplicato le importazio­ni di carbone, a 39 milioni di tonnellate. Un anno prima ne aveva acquistate solo 2,7 milioni.

Il Giappone – sull’orlo del blackout – ha cominciato a riaccender­e anche le vecchie centrali a olio combustibi­le. Nel Paese del Sol Levante la ricerca di gas è disperata al punto che gli operatori sono arrivati letteralme­nte a grattare il fondo del barile: Kyushu Electric si è offerta di acquistare i residui di Gnl che rimangono nei serbatoi dopo che le navi hanno scaricato.

Proprio le metaniere (o meglio: la carenza di metaniere) hanno un ruolo importante nella tempesta perfetta che ha spinto il prezzo del Gnl asiatico a livelli record, più che raddoppiat­i da inizio anno e moltiplica­ti per quaranta da maggio: il Japan Korea Marker (Jkm),benchmark locale, ha raggiunto un picco di 32,5 dollari per milione di Btu lunedì, con un rincaro del 31% in un solo giorno. In seguito ci sono state transazion­i a quasi 40 $/MBtu.

L’offerta di Gnl sta aumentando, nonostante ci sia ancora qualche difficoltà produttiva in alcuni Paesi. Prelude – mega impianto australian­o di Shell, che era fermo da quasi un anno – è appena tornato in funzione e tutti i maggiori fornitori hanno accelerato le esportazio­ni, a cominciare dagli Usa, che dopo i tagli dell’estate scorsa da novembre sono tornati a volumi da primato. Il problema è che non si riesce a trasferire rapidament­e il Gnl dove c’è più bisogno, ossia in Asia. Trovare metaniere disponibil­i è diventato così difficile che qualche acquirente ha rinunciato a consegne per febbraio: forse è uno di loro ad aver chiuso le posizioni al Ttf, provocando gli scossoni dei giorni scorsi.

A riflettere la scarsità di metaniere sono anche i noli marittimi, arrivati a superare 350 mila dollari al giorno: un livello mai raggiunto nella storia, da nessuna nave per il trasporto di materie prime.

Gran parte dei problemi nascono dall’ingorgo del Canale di Panama, dove i traffici sono rallentati da mesi: una ricaduta del caos nei trasporti di container. I carichi di Gnl americano diretti in Asia sono costretti a lunghe attese o a deviazioni dirotta impegnativ­e, co mela circumnavi­gazione del Capo di Buona speranza, che richiede 17 giorni di viaggio in più. Di recente, riferisce Argus, qualche metaniera Usa transita dal canale di Suez, dopo aver attraversa­to il Mediterran­eo. In Europa non scarica quasi più nessuno. Nonostante i recenti rincari, qui il gas vale meno della metà che in Asia.

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REUTERS
Fame di Gnl in Asia. Un impianto del gruppo ENN a Changsha, in Cina REUTERS
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