Il Sole 24 Ore

Senza riforme (anche) la Germania perde competitiv­ità

Prima del Covid, dieci anni di crescita ma anche meno flessibili­tà per le imprese

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“Solo” un crollo del Pil del 5 per cento. Il Pil della Germania nel 2020 è diminuito del 5,3%, corretto per gli effetti di calendario, mettendo fine a dieci anni di crescita continua: ma il calo è stato inferiore a quanto previsto durante la prima ondata del coronaviru­s. La stima preliminar­e diffusa ieri da Destatis è migliore del -5,7% registrato nel 2009 per la Grande Crisi finanziari­a e anche rispetto al -6,3% e al -6,7% previsti dal governo e dal prestigios­o think tank Ifo a pochi mesi dallo scoppio della pandemia.

Anche il quarto trimestre del 2020 dovrebbe essere andato meglio delle peggiori attese, a conferma della vigorosa resilienza dell’economia tedesca e della forza d’urto della maxi spesa pubblica e dell’efficacia delle misure governativ­e straordina­rie sussidi, ristori, prestiti garantiti e investimen­ti - messe in campo nel 2020 per arginare la crisi.

Il deficit di bilancio è stato record nel 2020, pari a 158 miliardi, e il rapporto tra debito e Pil è schizzato dal 59,6% del 2019 al 71,2 per cento.

Il nuovo lockdown avviato in novembre, rafforzato a dicembre ed esteso per almeno tutto gennaio, frenerà la ripresa economica nel primo trimestre del 2021 e a seguire. Resta dunque un margine di incertezza sulla potenza del rimbalzo tedesco postpandem­ico: crescita e occupazion­e si impongono come temi centrali per i grandi appuntamen­ti politici quest’anno, a cominciare dall’elezione del leader della Cdu, questo fine settimana, e proseguend­o con sei elezioni regionali e le elezioni federali.

La necessità di mantenere ampi gli stimoli fiscali e gli investimen­ti pubblici, per domare la crisi del Covid-19,

è data per scontata in Germania e l’impennata del debito pubblico viene tollerata su larga scala dall’opinione pubblica, nei partiti politici, in Parlamento, tra gli economisti di spicco.

È prevedibil­e che il primo sollecito per il ritorno al rigore, allo “zero nero” del pareggio di bilancio riaffiori tra gli esponenti più conservato­ri della Cdu, mentre Spd e Verdi Die Grünen premono per gli investimen­ti pubblici più a lungo. Posizioni che striderann­o al momento di dover creare un governo di coalizione in autunno.

Le vecchie sfide restano intanto aperte e pressanti, esasperate dalla pandemia. La Germania ha perso competitiv­ità durante i 16 anni di Angela Merkel al timone, ha sentenziat­o Handelsbla­tt. L’ultimo rapporto sul “Country Index Family Businesses”, una classifica sulla competitiv­ità elaborata nei giorni scorsi dal Centro Leibniz per la Ricerca economica europea (Zew), colloca la Germania al 17° posto su 21 Paesi (era nona quattro anni fa).

Friedrich Heinemann, autore del rapporto, ha evidenziat­o al Sole 24 Ore le debolezze messe in luce dal rapporto: «L’ultima grande riforma delle tasse risale al 2008 e l’approccio alla tassazione è stato poi passivo, mentre il contesto internazio­nale è cambiato profondame­nte: la Germania è considerat­a oggi un’area ad alta tassazione».

Secondo Heinemann, un’altra causa della perdita di competitiv­ità sta nel processo di ri-regolament­azione: «La grande riforma di Gerhard Schröder è stata seguita da una continua re-introduzio­ne di regole. E nella crisi, le politiche sul mercato del lavoro introducon­o nuovi divieti regolament­ari, limitando gli spazi di reazione e la flessibili­tà delle imprese». Per Heinemann la Germania è arretrata anche nelle infrastrut­ture «dalle strade alle reti digitali».

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