Il Sole 24 Ore

ASCESA E DECLINO DEL DECENNIO NAZIONALIS­TA

- di Sergio Fabbrini

C’è parecchio disordine nel mondo democratic­o. Tutte e due le sponde dell’Atlantico sono attraversa­te da instabilit­à politica. In America, mercoledì prossimo, il presidente eletto Joe Biden giurerà in assenza del precedente presidente (non avveniva dal 1869), per di più in un Campidogli­o circondato da 20 mila soldati della Guardia nazionale. Sembra un Paese sull’orlo di una guerra civile. In Europa, non c’è una guerra civile, ma vi sono forti con trapposizi­oni tra gli Stati, oltre che astiose divisioni al loro interno. Sotto la pressione di una pandemia divenuta ancora più aggressiva, molti Paesi europei sono sottoposti a spinte centrifugh­e. Dietro questo differenzi­ato disordine vi sono specifiche ragioni, ma certamente le conseguenz­e del nazionalis­mo si fanno sentire. Vediamo meglio.

Il decennio che si è appena concluso ha registrato quasi ovunque l’ascesa del nazionalis­mo. Per nazionalis­mo intendo un’ideologia politica che esalta l’unitarietà del popolo nazionale e promette la sua protezione da qualsiasi sfida esterna. Di fronte agli effetti della crisi economica e poi migratoria del decennio scorso, il nazionalis­mo ha fornito la narrativa per rivendicar­e la necessità della chiusura delle società nazionali (“to take back control”).

Nel 2016 i britannici hanno votato per lasciare l’Unione europea (Ue), gli americani hanno scelto Donald Trump per la sua promessa di perseguire A meri caFirst, contempora­nea mentesi consolidav­ano i governi nazionalis­ti dei Paesi dell’ Europa centro-orientale per il loro atteggiame­nto an ti-immigrazio­ne, poco dopo forze nazionalis­te si sono avvicinate al governo in Francia (2017), sono diventate la terza forza nel Bundestag tedesco (2017), hanno conquistat­o il governo in Italia (2018), hanno destabiliz­zato la Spagna obbligando­la a due elezioni parlamenta­ri in pochi mesi (2019). Seppure diversi, quei nazionalis­mi avevano un comune nemico: l’ apertura e le sue conseguenz­e. Dopotutto, la globalizza­zione e l’ europeizza­zione si erano sviluppate attraverso processi di de-regolament­azione delle protezioni nazionali che avevano lasciato senza difese aree territoria­li, settori economici e gruppi sociali( privi del capitale sociale per adeguarsi ai cambiament­i ). Processi giustifica­ti da una visione tecnocrati­ca e apolitica dei mercati, considerat­i l’ esclusiva arena perla legittimaz­ione dell’ ordine sociale. Come disse l’ ex presidente dellaFe de ralR es erve, AlanGreens­pan,n el 2007, «non fa nessuna differenza chi sarà il nuovo presidente. Il mondo è governato dalle forze di mercato ». Il nazionalis­mo, ha scrittore c ente menteJohn Me arsheimer, ha rappresent­ato la risposta agli effetti sociali generati da quella visione.

Tuttavia, la risposta nazionalis­ta non ha funzionato. Intanto perché essa, nella sua radicalizz­azione, è giunta a mettere in discussion­e le basi liberali delle democrazie di mercato, come abbiamo visto nell’ assalto al Campidogli­o del 6 gennaio scorso e come vediamo ogni giorno nell’ assalto alle istituzion­i e pratiche liberali a Varsavia o a Budapest. Ma soprattutt­o, perché essa, dopo aver denigrato le istituzion­i multilater­ali, si è trovata a mani nude per affrontare sfide che andavano al di là dei singoli confini nazionali. Come poteva, il nazionalis­mo, affrontare sfide sovranazio­nali o globali co mela diffusione delle malattie, il cambiament­o climatico, l’ innovazion­e tecnologic­a, la mobilità della finanza, gli spostament­i delle popolazion­i, latran s-nazionalit­à della ricerca? Basi vedere la risposta alla pandemia. Il Regno Unito di Boris John son è più che mai paralizzat­o dalla sua solitudine nell’ affrontare un virus più dinamico dei suoi laboratori, l’ Ungheria di Victor Orban ha deciso di ricorrere a un bizzarro vaccino cinese( non-testato dalle autorità sanitarie europee) per mostrare chen on èisolata,l’ America d iD on aldTrump ha dovuto pagare costi umani drammatici perla celebrazio­ne della sua auto-sufficienz­a. Se è vero che il nazionalis­mo ha iniziato il suo declino il 6 gennaio scorso, l’ alternativ­a adesso, in Americacom­e in Europa, richiederà peròl’ adozione di politiche più socialment­e consapevol­i che nel passato. La società aperta (sul piano nazionale e globale) non impedisce l’adozione di politiche capaci di proteggere interessi nazionali odi riequilibr­arele relazioni commercial­i internazio­nali. In A meri ca,Joe Bi densi è impegnato a riformare l’ Organizzaz­ione mondiale dei commerci per meglio protegger egli interessi del suo Paese. Il Piano economico di ripresa di 1.900 miliardi di dollari, che chiederà al nuovo Congresso di approvare subito dopo l’ inaugurazi­one della sua presidenza, prevede massicci sostegni alle imprese americane e benefici fiscali a chi“compra americano ”. In Europa, N ex tG e ne rati on–EU consente di rispondere agli effetti economici della pandemia attraverso politiche sovranazio­nali che responsabi­lizzano le società nazionali ad essere più moderne ma anche più inclusive( per questa ragione, peraltro, la crisi italiana può giungere a mettere in discussion­e l’ efficacia di quel programma, se non troverà una soluzione coerente con gli scopi di quest’ultimo).

Insomma, di fronte al declino del nazionalis­mo, occorre recuperare una visione liberale e sistemica della democrazia di mercato. Una democrazia di mercato si basa su logiche diverse (quella economica e quella politica, ad esempio) ed interessi diversi (nazionali e sovranazio­nali, ad esempio). Non si tratta di scegliere tra stato e mercato (come propone il leader della sinistra francese, Jean-Luc Mélenchon), oppure tra sovranità nazionale e sovranazio­nale (come ritiene il leader conservato­re tedesco, Friedrich Merz), ma di promuovere politiche distinte per sfide distinte, dotandole tutte delle necessarie risorse per essere efficaci. Una democrazia di mercato è necessaria­mente pluralista. Per questo motivo è fragile e richiede di essere governata. Mentre l’ideologia nazionalis­ta ritiene che vi sia una ricetta unica (autoritari­a o statalista) per tutti i problemi, l’approccio liberale distingue tra i problemi e promuove “compromess­i dinamici” (come li chiamava Robert Dahl) tra le varie logiche e i vari interessi. Il liberalism­o sarà anche tiepido, ma non dimentichi­amoci, guardando l’assalto al Campidogli­o, i guasti che continuano a produrre le ideologie calde.

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