I CALCOLI DI CONVENIENZA DEL PD TRA CONTE E RENZI
Non c’è solo il conto dei numeri in Parlamento e dei rischi che corre il Governo, e il premier innanzitutto. Così come non c’è solo la caccia ai responsabili, che sembra stia andando male. Quello che in queste ore tormenta il Pd - che sente di avere il pallino - sono altri calcoli, più di convenienza politica ed elettorale. Tutto sta in una domanda: se al partito di Zingaretti convenga di più un Conte che si lancia nella sfida contro Renzi e apra alla prospettiva di una sua lista oppure tornare a trattare con Iv anche rimangiandosi quell’accusa di «inaffidabilità» contro il suo leader.
In varie riflessioni tra Dem delle diverse correnti, questo interrogativo ha avuto già una risposta: cioè che è meglio tornare a negoziare con un partitino del 2-3% che favorire l’ascesa di un Conte sempre più in versione di aspirante leader politico. Anche perché far tornare Iv al tavolo vorrebbe dire ridimensionare il premier, fargli accettare le dimissioni in vista di un Conte III, rivedere il programma e soprattutto la squadra mettendogli a fianco non tanto un vicepremier ma un responsabile del Recovery scelto tra le fila Pd. Zingaretti insomma berrebbe l’amaro calice di una marcia indietro con Renzi ma riuscirebbe a contenere la prospettiva – molto insidiosa per il Pd – di perdere consensi a vantaggio di una lista Conte. Almeno così dicono i sondaggi. Con Iv, invece, non c’è questo rischio: l’operazione renziana non fa più paura, viene giudicata un fallimento e quindi non c’è concorrenza, semmai, c’è l’obiettivo di annessione. Raccontano i Dem, anche ex renziani rimasti nel partito, che la gran parte dei parlamentari di Iv ha già preso atto che quell’avventura è conclusa ma che ha bisogno di tempo per tornare a “casa”. E Zingaretti non esiterebbe a riaccoglierli.
Che l’aria sia quella di un tentativo di riprovare con Iv per un Conte III è testimoniato anche dall’annuncio di Renzi di un’astensione, ossia il classico segnale che non tutto è perduto. Anzi. Ed è un modo per tenere insieme il suo gruppo parlamentare, limitarne le uscite, anche se c’è chi ha già fatto sapere che voterà a favore di Conte mentre qualcuno non dovrebbe presentarsi in Aula. Non è ancora chiaro cosa accadrà tra lunedì e martedì, ma se davvero Zingaretti preferirà fare un patto con «l’inaffidabile» segretario di Iv, la spiegazione è in quel calcolo: meglio la convivenza con un Renzi al 2-3% che lasciare al premier il palcoscenico delle Camere e l’allusione a una sua lista.
In mezzo, però, c’è proprio Conte. Cosa sceglierà di fare? È evidente che se il premier vorrà insistere sulla sfida parlamentare dovrà attirare verso sé i responsabili non solo garantendo la fine della legislatura ma offrendogli una casa politica. Solo così potrà – con il tempo – trasformare una maggioranza relativa, in maggioranza assoluta attirando altri parlamentari. Esattamente lo scenario che teme di più un Pd che deve difendere il suo fortino intorno al 20% e non subire – un domani – condizionamenti da Conte come finora li ha subiti da Renzi.