PERCHÉ IL FUTURO NON FINISCE CON ZOOM
Ai tempi in cui internet era una novità, data una nuova piattaforma, ci si domandava come costruirci una comunità. Oggi si parte dalle condizioni di sviluppo per una nuova comunità per disegnare una piattaforma. O almeno questo è il problema sottostante a una quantità di ricerche relative alla ricostruzione dello spazio per la vita e per il lavoro dopo la pandemia. Indagini spesso accomunate dalla convinzione secondo la quale - una volta superata la pandemia - le persone non vorranno tornare alla normalità precedente ma di certo non si accontenteranno di organizzare il futuro sulla base delle piattaforme esistenti.
Il progetti non mancano. Il nuovo inizio non può che partire da visioni radicali ed empiricamente solide. Come quella che testimonia Ezio Manzini. Il designer è un pioniere della ricerca sulle comunità del futuro. Niente a che fare con le comunità composte solo da relazioni sociali intense e durature obbligate a svilupparsi in luoghi ristretti. Le comunità del futuro sono intrecci di conversazioni tra persone che scelgono di incontrarsi, perché vi sviluppano opportunità, in contesti da costruire, in base a progetti che si rigenerano ogni giorno: comunità che vivono in ambienti ibridi, non soltanto digitali, nei quali le persone vivono esperienze di relazione intense perché hanno qualcosa di concreto da fare insieme. E per questo parlano dello spazio in cui si trovano, traducendo lo spazio in un luogo del quale vale la pena di occuparsi. Comunità aperte, leggere e intenzionali, scrive Manzini, riassumento le regole della progettazione emerse dalla ricerca “Cultures of resilience” che ha contribuito a sviluppare alla University of the Arts di Londra e che riassume nel saggio “Comunità come spazio di opportunità” (in “Rimediare ri-mediare” a cura di Francesco De Biase, FrancoAngeli 2020).
Ma tutto questo è anche una nuova idea di economia, secondo Alex Giordano, autore di “Societing 4.0” (Egea 2020). Giordano osserva come l'abbondanza di idee e di persone impegnate e connesse nel mondo digitale non sia sufficiente per modificare la traiettoria dello sviluppo, che per motivi climatici e sociali non può più essere quella del secolo scorso, basata sul consumo, ma non riesce ancora ad essere quella del nuovo millennio: «Manca un nuovo modello organizzativo: una nuova filosofia d'impresa». Anche per Giordano le comunità sono al centro della ripartenza perché sono spazio di opportunità. La grande riorganizzazione culturale che internet ha avviato nelle aziende è forse stata sintetizzata precocemente nel Cluetrain Manifesto di Rick Levine, Christopher Locke, Doc Searls e David Weinberger che, nel 1999, presero di mira il concetto astratto di “mercato” e lo calarono nella nuova dimensione relazionale che la rete rendeva possibile. «I mercati sono conversazioni» era la loro prima tesi. E la sua concretezza si è via via dimostrata con i fatti, man mano che internet ha conquistato la vita quotidiana. L'esperienza dei pionieri poteva restare intellettualmente circoscritta. Ma l'esperienza delle persone che hanno attraversato la pandemia riguarda tutti.