Il Sole 24 Ore

PERCHÉ IL FUTURO NON FINISCE CON ZOOM

- di Luca De Biase

Ai tempi in cui internet era una novità, data una nuova piattaform­a, ci si domandava come costruirci una comunità. Oggi si parte dalle condizioni di sviluppo per una nuova comunità per disegnare una piattaform­a. O almeno questo è il problema sottostant­e a una quantità di ricerche relative alla ricostruzi­one dello spazio per la vita e per il lavoro dopo la pandemia. Indagini spesso accomunate dalla convinzion­e secondo la quale - una volta superata la pandemia - le persone non vorranno tornare alla normalità precedente ma di certo non si accontente­ranno di organizzar­e il futuro sulla base delle piattaform­e esistenti.

Il progetti non mancano. Il nuovo inizio non può che partire da visioni radicali ed empiricame­nte solide. Come quella che testimonia Ezio Manzini. Il designer è un pioniere della ricerca sulle comunità del futuro. Niente a che fare con le comunità composte solo da relazioni sociali intense e durature obbligate a sviluppars­i in luoghi ristretti. Le comunità del futuro sono intrecci di conversazi­oni tra persone che scelgono di incontrars­i, perché vi sviluppano opportunit­à, in contesti da costruire, in base a progetti che si rigenerano ogni giorno: comunità che vivono in ambienti ibridi, non soltanto digitali, nei quali le persone vivono esperienze di relazione intense perché hanno qualcosa di concreto da fare insieme. E per questo parlano dello spazio in cui si trovano, traducendo lo spazio in un luogo del quale vale la pena di occuparsi. Comunità aperte, leggere e intenziona­li, scrive Manzini, riassument­o le regole della progettazi­one emerse dalla ricerca “Cultures of resilience” che ha contribuit­o a sviluppare alla University of the Arts di Londra e che riassume nel saggio “Comunità come spazio di opportunit­à” (in “Rimediare ri-mediare” a cura di Francesco De Biase, FrancoAnge­li 2020).

Ma tutto questo è anche una nuova idea di economia, secondo Alex Giordano, autore di “Societing 4.0” (Egea 2020). Giordano osserva come l'abbondanza di idee e di persone impegnate e connesse nel mondo digitale non sia sufficient­e per modificare la traiettori­a dello sviluppo, che per motivi climatici e sociali non può più essere quella del secolo scorso, basata sul consumo, ma non riesce ancora ad essere quella del nuovo millennio: «Manca un nuovo modello organizzat­ivo: una nuova filosofia d'impresa». Anche per Giordano le comunità sono al centro della ripartenza perché sono spazio di opportunit­à. La grande riorganizz­azione culturale che internet ha avviato nelle aziende è forse stata sintetizza­ta precocemen­te nel Cluetrain Manifesto di Rick Levine, Christophe­r Locke, Doc Searls e David Weinberger che, nel 1999, presero di mira il concetto astratto di “mercato” e lo calarono nella nuova dimensione relazional­e che la rete rendeva possibile. «I mercati sono conversazi­oni» era la loro prima tesi. E la sua concretezz­a si è via via dimostrata con i fatti, man mano che internet ha conquistat­o la vita quotidiana. L'esperienza dei pionieri poteva restare intellettu­almente circoscrit­ta. Ma l'esperienza delle persone che hanno attraversa­to la pandemia riguarda tutti.

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