Il Sole 24 Ore

LA CONTESA ORA SI GIOCA TRA DPCM E ORDINANZE

- Di Donatella Morana e Giulio Enea Vigevani

Il 2020 è stato un anno di grande conflittua­lità politica tra Stato e Regioni. La pandemia ha esasperato le tensioni tra centro e periferia, generando occasioni di scontro che hanno dominato le cronache di questi mesi.

Tuttavia, ciò non si è tradotto in un incremento del contenzios­o davanti alla Corte costituzio­nale. In particolar­e, il numero delle questioni di legittimit­à sollevate dallo Stato e dalle Regioni nel 2020 indica una sostanzial­e stabilità nel lavoro della Consulta: c’è solo una leggera flessione rispetto al 2019, poco significat­iva in sé e peraltro in linea con l’andamento degli anni precedenti.

Il dato anomalo è semmai il calo dei ricorsi promossi dalle Regioni nei confronti di leggi statali. In un anno vi sono state solo dieci impugnazio­ni, il numero più basso dalla riforma del Titolo V del 2001.

Anche dal punto di vista qualitativ­o, la Corte non ha avuto occasione di pronunciar­si sui conflitti che pure hanno dominato le pagine dei giornali in relazione all’emergenza sanitaria.

Anzi, la prima vera questione su una legge regionale legata al Covid è quella, recentissi­ma, nei confronti della normativa della Valle d’Aosta che apre negozi, impianti da sci e musei.

Perché questa litigiosit­à StatoRegio­ni non si è tradotta in un aggravamen­to dei lavori della Corte e ha anzi sopito, rallentato, l’intraprend­enza regionale nelle stanze della Consulta?

Anzitutto, sul piano giuridico, hanno senz’altro inciso gli strumenti di intervento utilizzati dallo Stato e dalle regioni: da un lato i Dpcm, dall’altro le ordinanze dei presidenti delle Regioni. La natura delle fonti dell’emergenza, insomma, ha condotto il contenzios­o in altre sedi, quelle del giudice amministra­tivo.

Inoltre, il calo del protagonis­mo regionale nel giudizio di costituzio­nalità può spiegarsi consideran­do anche la sensibile riduzione della produzione legislativ­a statale, con un Parlamento chiamato a convertire qualche decreto-legge ma complessiv­amente poco impegnato, soprattutt­o nella prima fase dell’emergenza, a disciplina­re ambiti diversi da quello connesso alla pandemia.

Insieme a questo dato tecnico, vi sono forse anche ragioni politiche che hanno ridotto la conflittua­lità Stato-Regioni davanti alla Consulta. Da un lato, sono emerse gravi carenze nella programmaz­ione, nell’organizzaz­ione e nella gestione di taluni servizi sanitari regionali, che pure godevano di apprezzame­nto e “chiara fama”. Ciò sta conducendo a un vero e proprio ripensamen­to del regionalis­mo e soprattutt­o sta portando su un binario morto i percorsi di autonomia differenzi­ata che pure erano già in fase molto avanzata.

La crisi dell’istanza regionalis­ta ha reso probabilme­nte le Regioni più prudenti anche nel volere esacerbare il conflitto con lo Stato. Alcune, come il Veneto, che hanno sempre rivendicat­o al massimo la loro autonomia nelle stanze della Consulta, hanno ridotto i ricorsi.

D’altro lato, si può con qualche malizia sospettare che alle Regioni convenisse lasciare allo Stato l’adozione delle decisioni più delicate e scomode, come quelle limitative delle libertà individual­i, conservand­o però il diritto di criticare e manifestar­e la propria contrariet­à sulla base di valutazion­i di mera opportunit­à politica. Insomma, una dissociazi­one di convenienz­a.

Infine, ma forse siamo troppo ottimisti, l’emergenza ha probabilme­nte spinto ad apprezzare il principio della leale collaboraz­ione, a prenderlo sul serio, a fronte di criticità che hanno palesato la necessità di un dialogo continuo tra Stato e Regioni e non di fughe solitarie verso derive ultra-autonomist­iche.

Il numero delle vertenze costituzio­nali rispecchia solo in parte l’acuirsi delle tensioni

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