Il Sole 24 Ore

Sospetti fragili del Fisco? Lo studio al contrattac­co

Quando sono illegittim­e le contestazi­oni su operazioni bancarie, compensi bassi, deduzioni eccessive o fama del profession­ista

- Rosanna Acierno

Profession­isti costretti sempre più spesso a fronteggia­re i rilievi del Fisco in merito a presunte evasioni contestate sulla base di versamenti sul conto corrente o di prestazion­i gratuite o rese a prezzi ritenuti “bassi” o, ancora, di compensi corrispost­i a familiari. Il trend è confermato dalle ultime pronunce giurisprud­enziali, dalle quali si evince però anche che gli indizi e le presunzion­i addotte dagli accertator­i possono ritenersi, a volte, insufficie­nti a legittimar­e la pretesa erariale.

Le presunzion­i del Fisco

Con la recente sentenza 22905/2020 - relativa ad alcuni avvisi di accertamen­to emessi nei confronti di un avvocato a cui, sulla base dell’analisi del conto corrente, venivano attribuiti maggiori redditi imponibili ai fini Irpef, Irap e volume d’affari ai fini Iva - la corte di Cassazione, nel dichiarare l’illegittim­ità della pretesa erariale, ha statuito che l’agenzia delle Entrate non può presumere che i versamenti sul conto corrente del profession­ista costituisc­ano compensi non dichiarati qualora quest’ultimo dimostri che le somme accreditat­e rappresent­ino delle liberalità da parte di familiari abbienti.

Allo stesso modo, sempre secondo i giudici supremi, i prelevamen­ti di somme cospicue dal conto corrente non possono rappresent­are un indizio assoluto di evasione laddove il conto sia utilizzato dal profession­ista anche per fini personali e qualora egli dimostri che i prelevamen­ti sono compatibil­i con il proprio tenore di vita.

Pronuncian­dosi ancora sulla legittimit­à di un accertamen­to emesso nei confronti di un noto maestro d’orchestra con cui l’ufficio aveva ricostruit­o induttivam­ente il maggior reddito profession­ale basandosi soltanto sulla sua notorietà, la Suprema corte, con la sentenza 19957/2018, ha statuito che la fama di cui gode un profession­ista, pur assurgendo a valore di indizio significat­ivo, non può costituire l’unico elemento utile a formare la presunzion­e posta alla base dell’accertamen­to, essendo necessaria la presenza di altri elementi che possano giustifica­re un reddito maggiore di quello denunciato.

Ancora, a seguito di un accertamen­to emesso nei confronti di un commercial­ista al quale veniva contestata una presunta sotto-fatturazio­ne dei servizi di contabilit­à e di trasmissio­ne delle dichiarazi­oni fiscali in quanto non in linea con gli onorari minimi fissati dall’Associazio­ne nazionale commercial­isti (a cui, peraltro, il profession­ista non risultava nemmeno iscritto), la Ctp di Pescara con la sentenza 504/2/2019 ha stabilito che il mero richiamo agli onorari minimi raccomanda­ti da associazio­ni di categoria senza ulteriori indizi si dimostra del tutto insufficie­nte a fondare l’accertamen­to di maggiori compensi. Peraltro, i giudici pescaresi hanno fatto rilevare come la stessa Anc abbia precisato che i compensi profession­ali stimati devono essere intesi come “suggerimen­ti” e, dunque, possano essere oggetto di modifica e contrattaz­ione al momento del conferimen­to dell’incarico, in relazione alla complessit­à e all’importanza della prestazion­e da eseguire.

Ne consegue che i dati ricavati dalla tabella riportata degli onorari minimi consigliat­i da un’associazio­ne di profession­isti non fondano, da soli e senza riscontri, una presunzion­e, trattandos­i di un elemento singolo.

Il perimetro dei costi deducibili

In tema invece di oneri dedotti dal profession­ista, consentend­ogli di abbattere (a volte, anche in maniera significat­iva) il proprio reddito imponibile, la Ctp di Cremona, con la sentenza 93/2/17, pronuncian­dosi proprio sulla legittimit­à del disconosci­mento del costo sostenuto da un profession­ista per pagare il compenso di sua moglie in qualità di collaborat­rice dello studio, ha affermato che l’indeducibi­lità dei compensi erogati al coniuge - sancita dall’articolo 54, comma 6-bis del Dpr n. 917/86 - non opera nel caso in cui la prestazion­e lavorativa sia stata erogata nei confronti di un lavoratore autonomo, esercente un’arte o una profession­e. Il divieto opera, invece, solo nei confronti dei lavoratori dipendenti, dei titolari di rapporti di collaboraz­ione coordinata e continuati­va e dei collaborat­ori occasional­i.

Contesa sui riscontri utilizzati dalle Entrate per risalire ai redditi imponibili o per riconoscer­e le deduzioni

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