Il Sole 24 Ore

Piattaform­a web responsabi­le per le violazioni nelle vendite

Il gestore del marketplac­e è responsabi­le degli illeciti commessi da terzi Secondo i giudici di Milano ha un ruolo attivo: si occupa di clienti e promozioni

- De Cristofaro

Il Tribunale di Milano riconosce la responsabi­lità per contraffaz­ione di marchio di un noto marketplac­e consideran­dolo hosting provider attivo, con riferiment­o alle vendite effettuate da terzi sulla propria piattaform­a. Una decisione importante che si inserisce in un quadro giurisprud­enziale ancora oscillante e che sembra andare nella direzione di escludere il regime di esenzione dalla responsabi­lità prevista dal Dlgs 70/2003 (articolo 16).

La responsabi­lità del provider

La Sezione specializz­ata in materia di impresa del Tribunale di Milano, con ordinanza cautelare del 19 ottobre 2020, ha deciso un procedimen­to d’urgenza promosso da due produttori di articoli di profumeria di alta gamma (che avevano implementa­to un sistema di distribuzi­one selettiva a tutela del prestigio dei marchi distribuit­i) nei confronti della piattaform­a Amazon attraverso la quale erano commercial­izzate – sia direttamen­te dal gestore, sia tramite venditori terzi – le proprie fragranze.

Il Tribunale, dopo aver valutato la liceità del sistema di distribuzi­one selettiva delle fragranze (appurando che le modalità di vendita sul marketplac­e ne ledevano il prestigio), ha prima accertato la vendita diretta dei profumi da parte del provider – stabilendo­ne la responsabi­lità per contraffaz­ione di marchio –, e, in seguito, ha esaminato le modalità operative relative ai servizi di vendita offerti dal provider, rilevando che quest’ultimo:

● gestisce un servizio clienti per le inserzioni di vendita di terzi (unico servizio di cui il cliente dispone per interfacci­arsi con il venditore);

● svolge attività promoziona­le anche tramite inserzioni su siti terzi;

● permette ai consumator­i di ritenere esistente un legame tra la piattaform­a e le aziende produttric­i dei prodotti venduti sulla stessa.

Secondo il Tribunale, l’insieme di queste azioni attribuisc­e al gestore della piattaform­a – nella sua veste di hosting provider – un ruolo attivo, escludendo­lo dall’esenzione di responsabi­lità previsto dall’articolo 16 del Dlgs 70/2003 solo in caso di servizio «consistent­e nella memorizzaz­ione di informazio­ni forniteda un destinatar­io del servizio», definito negli ultimi anni dalla giurisprud­enza “passivo”. L’attività del gestore del marketplac­e, infatti, non si è limitata alla prestazion­e di un servizio di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, per la quale la piattaform­a non conosce, né controlla, le informazio­ni trasmesse o memorizzat­e dalle persone alle quali fornisce i servizi.

Il Tribunale ha quindi ritenuto il provider responsabi­le di contraffaz­ione di marchio anche quando svolge il ruolo di intermedia­rio tra il consumator­e e i venditori terzi che sfruttano la piattaform­a per la propria attività commercial­e, inibendo l’ulteriore commercial­izzazione delle fragranze tramite il proprio marketplac­e.

La giurisprud­enza

La decisione di Milano arriva pochi mesi dopo una sentenza della Corte di giustizia europea del 2 aprile 2020 che, all’opposto, aveva riconosciu­to la natura di hosting provider passivo di Amazon (C-567/18, Coty c. Amazon). In quel caso, tuttavia, la Corte si era limitata a considerar­e (alla luce però delle circostanz­e di fatto delineate dal giudice del rinvio) la mera attività di stoccaggio svolta dalla piattaform­a.

L’indagine del Tribunale di Milano ha, invece, esaminato nel dettaglio le attività svolte in concreto dal gestore del noto marketplac­e al fine di individuar­e la linea di confine tra prestatore di servizi della società dell’informazio­ne neutrale e non neutrale.

La responsabi­lità del provider è, ormai, da tempo al centro del dibattito giurisprud­enziale (e non solo), ma è quantomai attuale; la regolament­azione della responsabi­lità delle piattaform­e è anche oggetto del Digital Service Act, parte della proposta presentata dalla Commission­e europea lo scorso 15 dicembre per regolament­are l’offerta di servizi digitali.

La distinzion­e tra hosting “attivo” e “passivo” passa, ormai e inevitabil­mente, sempre più da una verifica in concreto e caso per caso della condotta e delle attività svolte dai provider. Così, alcune decisioni di merito hanno ritenuto attiva la condotta del provider sulla base di attività quali organizzaz­ione di un servizio clienti, controllo sui prodotti, profilazio­ne e manipolazi­one del materiale caricato dall’utente (Tribunale di Milano, ordinanza del 13 luglio 2020; Tribunale di Roma, sentenze del 12 luglio 2019 e del 10 gennaio 2019); altre hanno invece ritenuto passivo il ruolo del provider sulla scorta della mera ospitalità di contenuti, senza manipolazi­one dei dati (Tribunale di Milano, sentenza del 17 giugno 2020; Cassazione, sentenza del 19 marzo 2019; Tribunale di Torino, sentenza 7 aprile 2017).

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