Il Sole 24 Ore

Il tribunale sblocca l’intesa anche con il «no» della Pa

È penalizzan­te limitare l’omologazio­ne forzata ai casi di mancata pronuncia

- Giulio Andreani

Le nuove norme in virtù delle quali il tribunale può omologare la transazion­e fiscale o la transazion­e contributi­va anche in “mancanza” del voto o dell’adesione dell’amministra­zione finanziari­a e/o degli enti previdenzi­ali e assistenzi­ali sono di grande importanza. Proprio per questo, è bene evitare equivoci.

Si tratta, in particolar­e, delle disposizio­ni introdotte dalla legge 159/2020 nel comma 4 dell’articolo 180 della legge fallimenta­re e nel comma 5 dell’articolo 182-bis. E una delle maggiori fonti di incertezza è sulla portata della “mancanza” indicata in precedenza:

1.

secondo una prima lettura, la omologazio­ne “coattiva” da parte del tribunale potrebbe essere disposta soltanto quando Fisco ed enti non si pronuncian­o sulle proposte loro formulate;

2.

secondo l’altra lettura, potrebbe intervenir­e anche a seguito del diniego espresso da tali soggetti (sempre che, come le medesime norme richiedono, la loro adesione sia «determinan­te» ai fini del raggiungim­ento delle maggioranz­e di cui all’articolo 177 della legge fallimenta­re o «decisiva» ai fini del raggiungim­ento della soglia del 60% prevista dall’articolo 182-bis della stessa legge e la proposta sia convenient­e per l’Erario).

L’agenzia delle Entrate, nonostante abbia dedicato alla transazion­e fiscale la circolare 34/E del 29 dicembre 2020, ha, almeno per il momento, preferito non pronunciar­si su questo tema.

Le disposizio­ni in questione, come si legge nella relazione illustrati­va al Dlgs 14/2019 (da cui derivano) intendono «superare ingiustifi­cate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi» e non c’è dubbio che tali resistenze possono concretizz­arsi sia qualora l’ente creditore dilazioni oltre misura la risposta alla proposta di transazion­e, sia qualora esso la rigetti espressame­nte. Lo scopo di queste norme è quindi duplice:

1.

evitare che il Fisco e gli enti previdenzi­ali continuino a impiegare tempi irragionev­oli (talvolta persino due anni) per pronunciar­si sulle proposte di transazion­e loro formulate;

2.

impedire (come talvolta è accaduto) che alcune proposte vengano rigettate, sebbene siano convenient­i per l’Erario, sempliceme­nte perché prevedono un soddisfaci­mento troppo “limitato” dei crediti fiscali e contributi­vi.

Ciò posto, se si dovesse arrivare alla conclusion­e che il diniego espresso del Fisco e degli enti non può essere superato dal tribunale, la seconda delle finalità appena descritte non sarebbe tutelata: non lo sarebbe nell’accordo di ristruttur­azione, che vincola solo i creditori che lo sottoscriv­ono, e non lo sarebbe nella sostanza nel concordato preventivo, perché almeno l’Agenzia il proprio voto in tale ambito è solita esprimerlo.

Una simile interpreta­zione equivarreb­be quindi a ridurre l’utilità delle nuove norme e sarebbe e ben poco aderente alla ratio della novella legislativ­a.

È vero che il concordato potrebbe essere comunque approvato dal voto favorevole di altri creditori, ma il fatto che le “resistenze” richiamate nella relazione accompagna­toria del Codice della crisi possano essere superate dal voto maggiorita­rio espresso da altri creditori - nel qual caso non vi è bisogno delle norme in questione perché Fisco ed enti non sono determinan­ti - non può escluderne l’applicazio­ne proprio quando invece il voto di tali soggetti determinan­te lo è, cioè proprio nel caso in cui tali norme dovrebbero trovare applicazio­ne per superare quelle “resistenze”.

È una conclusion­e, peraltro, conforme alla lettera della nuova norma: l’espression­e «anche in mancanza di adesione» (o «di voto») può essere letteralme­nte intesa, non solo come assenza di risposta da parte dell’Erario o degli enti previdenzi­ali, ma anche come risposta negativa e, a ben vedere, significa qualcosa di più della «mancanza di espression­e» del voto o dell’adesione.

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