Il Sole 24 Ore

USO DI CREDITI ESISTENTI: SANZIONI DA RIPENSARE

- Di Riccardo Giorgetti Emanuele Mugnaini

Una storia infinita. È la sensazione che si prova leggendo la risoluzion­e 82/E dello scorso 24 dicembre, con la quale l’Agenzia – nel rispondere al quesito relativo alla possibilit­à di riporto di un credito d’imposta derivante da una dichiarazi­one omessa – ha ribadito la sanzionabi­lità dell’utilizzo in compensazi­one dello stesso, anche se esistente. L’istante domandava se il credito potesse essere riportato nella dichiarazi­one successiva o se ne fosse consentita solo la richiesta a rimborso.

L’Agenzia, nel rispondere al quesito, dopo aver precisato, in maniera condivisib­ile, che nel caso in cui si optasse per il rimborso è sempre necessario presentare istanza ex articolo 38 del Dpr 600/73, per la diversa ipotesi del riporto nella dichiarazi­one successiva rimanda alla circolare 21/E/2013, la quale, a sua volta, prende le mosse da un documento di prassi dell’anno precedente (la circolare 34/E) secondo il quale il credito, eventualme­nte riconosciu­to, poteva, al più, essere chiesto a rimborso. Fino all’agosto del 2012, infatti, in caso di dichiarazi­one omessa, era possibile ottenere il riconoscim­ento del credito da questa emergente esibendo sempliceme­nte all’ufficio la documentaz­ione comprovant­e l’esistenza dello stesso.

Il parziale “ammorbidim­ento” dell’anno seguente, attuato con la citata circolare 21/E, se, da un lato, ha ripristina­to l’utilizzabi­lità in compensazi­one, dall’altro, afferma che il contribuen­te rimane ugualmente soggetto alla sanzione di cui all’articolo 13 del Dlgs 471/97. Questa può oscillare dal 30% (comma 4), in caso di recupero tramite controllo automatizz­ato e, dal 100 al 200% del credito compensato (comma 5), nella diversa ipotesi in cui il Fisco proceda all’emissione di un atto di recupero.

L’interpreta­zione dell’amministra­zione, ribadita con la citata risoluzion­e 82/E non è condivisib­ile poiché le sanzioni che precedono colpiscono la diversa fattispeci­e connessa all’utilizzo in compensazi­one di crediti inesistent­i o non spettanti. Inoltre, applicando la sanzione di cui al comma 5, la più alta, si arriva al paradosso per il quale la sanzione risultereb­be almeno pari al credito spettante.

L’orientamen­to delle Entrate non è condivisib­ile poiché, se il credito esiste, la compensazi­one non è indebita e, pertanto, viene a mancare il presuppost­o oggettivo per l’applicazio­ne della sanzione proporzion­ale.

Anche sul fronte giurisprud­enziale, tanto di merito, sulla scorta della assenza di un effettivo danno erariale (Ctr Piemonte 214/3/18), che di legittimit­à (Cassazione 25288/2019), i giudici hanno avuto modo di affermare che, qualora il credito sia esistente, non sono dovute le sanzioni previste dall’articolo 13.

Ecco, quindi, che, nel caso in questione, dovrebbe essere applicabil­e solo la sanzione per omessa presentazi­one della dichiarazi­one, prevista:

● dall’articolo 1, comma 1, del Dlgs 471/97 ai fini delle imposte dirette e dell’Irap;

● dall’articolo 5, comma 1, della medesima norma ai fini Iva.

Le norme in questione, in ossequio al principio di proporzion­alità, colpiscono la violazione con l’irrogazion­e di una sanzione variabile tra il 120 e il 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di 250 euro qualora, come nel caso di dichiarazi­one a credito, nulla sia dovuto. È auspicabil­e un ripensamen­to da parte dell’Erario, anche al fine di scongiurar­e la mole di contenzios­o che inevitabil­mente ne deriva.

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