Il Sole 24 Ore

Censura al docente che punisce la vittima al posto del bullo

Il Tribunale conferma la sanzione disciplina­re decisa dal preside

- Marisa Marraffino

L’insegnante che scambia la vittima per il bullo deve essere sanzionata disciplina­rmente. Lo ha stabilito il Tribunale di Bologna, sezione lavoro, con la sentenza 633 pubblicata il 29 dicembre 2020 (giudice Cosentino), che ha fatto il punto sulle responsabi­lità degli insegnanti durante l’orario scolastico.

Al centro del processo la condotta di una professore­ssa di una scuola superiore della provincia di Bologna che aveva messo in punizione una studentess­a, la quale, in realtà, aveva in precedenza denunciato al preside di aver subito atti di bullismo da parte dei compagni di classe. La ragazza era stata vittima inoltre di lanci di oggetti da parte degli alunni più grandi, ripetenti, problemati­ci e con precedenti di aggressivi­tà anche in ambito extrascola­stico.

Ma l’insegnante evidenteme­nte aveva dato più credito alla ricostruzi­one dei fatti dei compagni che sostenevan­o di essere stati insultati dalla ragazza. Infatti la docente, anziché indagare sulla situazione e parlarne col preside, aveva isolato la studentess­a e l’aveva colpita con una nota disciplina­re. L’aveva inoltre costretta a scrivere una lettera di scuse ai compagni e a ripetere una verifica (dopo averle fatto confessare di aver copiato) mentre tutti gli altri insieme scrivevano una lettera al preside riportando i comportame­nti negativi dell’alunna.

I genitori della ragazza però hanno inviato una segnalazio­ne al preside. All’insegnante è quindi stata irrogata la sanzione disciplina­re della censura, che la docente ha impugnato in tribunale.

L’insegnante si è difesa sostenendo che il suo comportame­nto aveva la finalità di tutelare la ragazza, non di punirla. Da qui la motivazion­e della sentenza che definisce la situazione paradossal­e. «Ci si chiede - scrive il giudice - cosa avrebbe fatto l’insegnante se avesse voluto sanzionare l’allieva, se per tutelarla la si è umiliata, isolata, messa alla gogna». Può darsi - continua la sentenza - che nel lavoro «per fare del bene si faccia involontar­iamente del male, ma se dopo la contestazi­one non si comprendon­o gli errori commessi allora la censura è davvero una sanzione troppo modesta», anche per il rischio di ripetere in futuro errori simili. La sentenza si concentra sulla responsabi­lità degli insegnanti nei casi di bullismo, definendo grave la condotta di chi non segnala i fatti al dirigente e non riesce a inquadrare correttame­nte gli episodi, finendo per isolare la vittima.

Va ricordato che la legge 71/2017 contro il cyberbulli­smo ha rafforzato il ruolo preventivo ed educativo degli insegnanti quando si trovino a dover fronteggia­re episodi di prevaricaz­ione all’interno della classe, prevedendo precise azioni di contrasto che mettano al centro la tutela della vittima. Minimizzar­e, ridicolizz­are o non ascoltare le richieste di aiuto di un alunno rappresent­ano condotte gravi da parte dell’insegnante che perciò deve essere censurata.

I docenti - si legge nella sentenza - hanno il compito di arginare le situazioni di conflitto all’interno della classe, evitando i casi di isolamento dal gruppo. Dare la colpa agli altri, autoelogia­rsi, non informare il superiore gerarchico e non ammettere i propri errori fa scattare la mala fede che legittima sanzioni disciplina­ri anche più gravi della censura.

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