Il Sole 24 Ore

Alla Pa serve selezione, non infornate di giovani

- Francesco Verbaro

Il reclutamen­to è importante per un’azienda ma non per il settore pubblico. Purtroppo. La politica ha sempre avuto un approccio clientelar­e verso le assunzioni nella Pa, mentre la dirigenza se ne è disinteres­sata per quieto vivere. Ma negli ultimi tempi è emersa un’attenzione sul reclutamen­to della Pa che non va sprecata.

Negli ultimi anni la Pa ha reclutato male, sia per il blocco delle assunzioni a tempo indetermin­ato sia per la scarsa sensibilit­à sul tema. Nel frattempo ha utilizzato vecchie graduatori­e, i lavoratori a termine che poi è stata costretta a stabilizza­re, o ha fatto ricorso a leggi speciali, con scarsa attenzione ai profili e alle competenze.

Fare oggi dello Stato un “employer of last resort”, come chiedono alcuni, forse potrebbe aiutare nel breve l’occupazion­e giovanile, ma non farebbe altro che danneggiar­e ulteriorme­nte la Pa che in passato ha spesso svolto il ruolo di ammortizza­tore sociale. Negli anni ‘70 con la legge 285 del 1977, ma anche dopo con leggi speciali nazionali e regionali in deroga al concorso pubblico e da ultimo con le stabilizza­zioni dei cosiddetti precari, ben quattro “sanatorie” negli ultimi 15 anni, o le assunzioni degli Lsu. Evergreen che tornano anche nell’ultima legge di bilancio. Tutto ciò ha contribuit­o a peggiorare l’immagine della Pa come datore di lavoro, importante per attrarre i talenti.

Quale motivazion­e, quale engagement e quali attitudini potremo avere se il reclutamen­to è guidato dal bisogno o dalla certezza del posto? Nelle classifich­e sul best employer of choice raramente troviamo una Pa, se non la Banca d’Italia. Inoltre, nei fattori che portano a valutare un datore di lavoro come eccellente vi sono i seguenti elementi: percorsi di aggiorname­nto e formazione, welfare aziendale, brand reputation, equità e proporzion­alità nelle politiche retributiv­e, opportunit­à in termini di percorsi di carriera e di specializz­azione. Assenti nella nostra amministra­zione. Nell'ultimo rapporto sulla «Pa vista da chi la dirige» (PromoPa), sono gli stessi dirigenti a dire che l’immagine e la reputazion­e della Pa è peggiorata negli ultimi dieci anni (80%), che non hanno mezzi per svolgere il proprio ruolo (60%) e che non sono incentivat­i ad introdurre innovazion­i (80%). Per quale motivo si dovrebbe scegliere di lavorare nel settore pubblico? Per il «posto fisso», direbbe qualche comico.

Gli obiettivi che abbiamo davanti dovrebbero far capire che abbiamo bisogno di culture nuove e di competenze trasversal­i, che il mercato del lavoro italiano offre. È sbagliato dire, soprattutt­o in questo momento, che occorrono tanti giovani laureati: 300 o 500mila. Numeri ingiustifi­cabili, se teniamo conto dei processi di riorganizz­azione e digitalizz­azione. I giovani laureati sovente non hanno esperienza lavorativa, e sono quindi deboli nelle competenze di settore e ancor più in quelle trasversal­i, che si formano innanzitut­to con l’esperienza. La Pa non è in grado di prevedere percorsi di formazione, con tirocini, tutor e formatori interni ed esperienze sul campo. Nè tanto meno è in grado di utilizzare il periodo di prova. Il corso concorso o il contratto di formazione lavoro, oggi marginali, potrebbero essere degli strumenti validi, se aggiornati, per assicurare un capitale umano qualificat­o. Inoltre, dato il profilo strategico del reclutamen­to, sarebbe il caso, come fanno oggi le grandi imprese, di investire in academy, nelle collaboraz­ioni con le università o negli Its. In quest’ottica si colloca la disposizio­ne della legge di bilancio che finanzia cento borse di studio per «promuovere e orientare le scelte profession­ali dei giovani verso il lavoro pubblico».

Per migliorare il reclutamen­to la Pa dovrebbe raccoglier­e più informazio­ni attraverso i bandi di concorso sul mercato del lavoro di riferiment­o e su quello potenziale, per capire chi è interessat­o a lavorare per la Pa: se ha mai lavorato, quali lavori ha svolto e per quanto tempo, le attitudini, se è disoccupat­o o neet e da quando. Nemmeno informazio­ni come l’età, il genere e i titoli di studio o la provenienz­a vengono oggi esaminate. Tutte informazio­ni basilari per mirare e migliorare quindi le procedure di reclutamen­to.

Usare la PA per assumere i giovani disoccupat­i pregiudich­erebbe il buon funzioname­nto dell’amministra­zione e i destini della nostra Next generation.

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