COSTRUTTRICI, È GIUNTA L’ORA DI VALORIZZARLE
Ora, però, è tempo delle costruttrici. Il discorso di fine anno del Presidente Mattarella ha aperto il dibattito per un 2021 di ricostruzione e richiamato i politici a un atto di responsabilità. E invece è accaduto il contrario: un’altra rottamazione. Risultato: il Recovery è stato rivisitato ancora una volta senza una visione prospettica, e c’è bisogno anche di noi, delle costruttrici, per completare il quadro.
Le costruttrici che non vedi nelle foto della politica che decide, perché lavorano nell’ombra. Le costruttrici accanto ai leader di partito, ma mai al centro della scena. Le costruttrici che sanno davvero ricostruire: le donne.
Quelle che sono le prime a pagare ma anche le prime a ripartire. Dati Censis alla mano, contiamo il 60% del lavoro andato perso nel 2020. Abbiamo dovuto scegliere i figli o la professione e abbiamo scelto i figli perché non potevamo fare altro, ma non è giusto. Le lavoratrici autonome che sono riuscite a non lasciare (e hanno chiuso in 29mila) hanno perso il 15% del fatturato. Chi ha un lavoro fisso – se non è in cassa integrazione – sta invece aspettando la gogna dello sblocco dei licenziamenti: un posto su dieci salterà afferma la Fondazione studi consulenti del lavoro. Non è giusto neanche questo perché il costo della vita resterà uguale o aumenterà. Le bollette sono già cresciute. E senza il nostro sacrificio, e senza la silenziosa forza lavoro di cura femminile il castello delle chiacchiere dei politici sarebbe già crollato sotto la spinta di insostenibili tensioni sociali. Per questo – lo dice anche il XXII Rapporto sul mercato del lavoro di Cnel – è importante riconoscere quanto abbiamo già fatto, e di cominciare a parlare anche di costruzione al femminile. Non solo per facilitarci il mestiere che abbiamo sempre fatto – la cura – ma per darci nuove chance in termini professionali.
Costruttrici perché le lavoratrici dipendenti non guadagnano ancora come i loro colleghi uomini, ed è un gap
da sanare con il Recovery. Costruttrici perché lo smart working non riconosce straordinari, e quando è part time, è quasi sempre un full time nascosto. Costruttrici perché se abbiamo le qualità per lavorare di notte mentre i figli dormono, dirigere aziende e correre coi lupi non ci manca certo la capacità di intraprendere. E tuttavia sappiamo che solo un’impresa su cinque è di una donna. Perché? Non ci manca il coraggio. Manca la sfrontatezza per ricominciare da zero e attivare il fatidico piano B. Già oggi solo il 15% delle partite Iva è donna, e sappiamo che donne sono coloro che chiedono meno crediti in banca per iniziare, e restituiscono prima e meglio i soldi richiesti.
Nel Recovery, le partite Iva sono assenti. Alla voce impresa, invece sono stati stanziati “solo” 400 milioni di euro, su un totale di 12,62 miliardi. Ci sono tante voci nel Pnnr: sappiamo che l’Europa ha fatto richiesta di green e digitale, e sappiamo anche che nell’introduzione al documento italiano sono citate donne, giovani e Sud come punti di attenzione nevralgici. E tuttavia, l’ottica di welfare
alle famiglie – 3,6 miliardi non coprono nemmeno il 60% dei nidi – è presente, quella del lavoro, è ancora carente. La parità salariale, il congedo di paternità uguale a quello di maternità, che quando qualcuno deve assumere non chieda più «ha intenzione di fare figli»? Perché oggi c’è una sorta di lista della spesa, e ogni voce non è declinata dal punto di vista femminile, come chiedono associazioni da Giusto Mezzo a Soroptimist, da Le Contemporanee a Base Italia. Noi costruttrici siamo il 51% del Paese, e ci meritiamo la metà, e ci meritiamo anche una valutazione di genere ex ante ed ex post di tutte le misure e gli investimenti previsti, perché desideriamo capire l’impatto delle misure che verranno messe in atto. Costruttrici perché il lavoro perso dalle giovani con contratti a tempo determinato – 10% in meno rispetto al 2019, Istat – potrebbe essere ricostruito, se fosse possibile imparare in modo semplice a fare impresa. Perché gli sgravi contributivi previsti nella manovra per il 2021 (legge 178/2020) per incentivare le assunzioni di giovani sotto i 36 anni e di donne senza lavoro rischiano di rivelarsi un beneficio per poche, come ha scritto recentemente Il Sole 24 Ore.
È chiaro che l’Italia ha bisogno di costruttrici e di costruttrici di imprese: persone e percorsi anche semplici, per rimettersi in piedi. Ha bisogno di bandi e appalti i cui punteggi premino le aziende con presenza femminile a tutti i livelli. C’è bisogno di noi perché anche se porteremo singolarmente fatturati “normali”, ci faremo portatrici di un valore culturale e sociale che vale molto di più. Se ci sarà permesso – prendendo esempio da Agitu Gudeta l’imprenditrice etiope che ha costruito una realtà in Trentino e che è stata uccisa barbaramente – costruiremo. Bisognerebbe assumere che le imprenditrici possono essere fatte di paste diverse, e che l’impresa non è solo grande impresa. Le Pmi devono tornare a popolare il nostro Paese grazie a noi. E dobbiamo farle noi, queste imprese. Rendetelo possibile. C’è tempo fino a marzo per cambiare.