Il Sole 24 Ore

LE TRE «R» DELLE IMPRESE PER RESISTERE ALLA PANDEMIA

- Di Daniele Marini

Le imprese cercano di reagire pur nell’incertezza determinat­a dalla diffusione della pandemia, oltre che dal contesto politico nazionale. Aziende e famiglie sono sospese in una sorta di limbo che – per il momento – si protrarrà fino alla fine di marzo, quando i provvedime­nti assunti dal governo in merito al lavoro e all’economia cesseranno. Sempre che per allora il virus consenta di poter tornare a una (nuova) normalità. Cosa accadrà da aprile in poi è un interrogat­ivo al quale è impossibil­e dare una risposta definita. Diverse analisi indicano che la ripresa non avrà percorsi univoci. Anzi, assai probabilme­nte avrà velocità diverse. Il manifattur­iero sta riorganizz­ando le proprie filiere e, in alcuni casi, riconverte­ndo le produzioni. Trasporti e logistica rivisitano assetti e organizzaz­ione. Commercio, ricettivit­à e ristorazio­ne stanno subendo le ferite più pesanti ed è loro richiesta una riprogetta­zione complessiv­a. L’apertura ai mercati internazio­nali, finché la situazione epidemica non tornerà sotto controllo, difficilme­nte costituirà un traino come in passato.

Alcune ricerche recenti possono aiutare a schiarire l’orizzonte e comprender­e quali siano le strategie che le imprese hanno già avviato.

Un primo punto riguarda l’occupazion­e. Come rileva l’Istat, nell’ultima rilevazion­e sulle strategie delle imprese di fronte al Covid, quasi nessuna azienda ha ridotto il personale a tempo indetermin­ato (1,3%), assai poche hanno diminuito quelli a tempo determinat­o o i collaborat­ori esterni (7,4%). Per converso, alcune hanno rinviato le assunzioni previste (12,5%) e uno sparuto gruppo (4,2%) è riuscito, invece, a fare nuovi reclutamen­ti. L’esito complessiv­o è un mercato del lavoro sostanzial­mente bloccato, sia in entrata che in uscita. Guardando al futuro, un decimo (10%) prevede una forte riduzione del personale, soprattutt­o in alcuni settori dei servizi come ristorazio­ne e alloggi (21,3%), e un terzo degli imprendito­ri (31,8%) intravede seri rischi di sostenibil­ità dell'attività. Quanto questa “bolla” sia frutto delle misure governativ­e o della volontà delle imprese di preservare il proprio capitale profession­ale, si scoprirà solo quando le misure di sostegno (passivo) cesseranno il loro effetto. Però, si può azzardare che se mediamente

RELAZIONI, RETI E RESILIENZA: SONO I FATTORI SUI QUALI INVESTIRE PER RIPARTIRE

non conoscerem­o un disastro come taluni palesano, nello stesso tempo per alcuni settori gli effetti saranno marcatamen­te pesanti.

Un secondo aspetto attiene alle strategie attuate: le imprese con le performanc­e migliori sono accomunate da “3R”: relazioni, reti, resilienza. Il caso delle Pmi e degli artigiani piemontesi lo testimonia (Community Research&Analysis – CNA Piemonte). Mediamente, ogni Pmi ha relazioni con circa 66 altre aziende. Se guardiamo alle medie imprese industrial­i questa soglia sale a 244. Quanto maggiori sono le reti di relazioni in cui sono inserite, migliori sono gli indici congiuntur­ali e le performanc­e economiche. Ma oltre alle relazioni, hanno un peso importante la loro qualità. Il rapporto fra queste imprese è dettato da una capacità negoziale (49,8%), da relazioni di reciprocit­à (35,5%), molto meno da rapporti di subordinaz­ione (14,7%). Siamo in presenza di rapporti fra fornitori, ben più che sub-fornitori o terzisti. Ciò è giustifica­to dal fatto che pesano competenze e profession­alità (51,2%), più che logiche di prezzo (48,8%). Poi viene la resilienza, che non è resistenza passiva, ma rimanda all’innovazion­e come reazione a una situazione non positiva. Diversi hanno messo in campo riorganizz­azione dei processi produttivi (16,9%), produzione di nuovi beni e servizi (16,9%), utilizzo dei nuovi canali di vendita online (12,9%). Di più, il 10,1% ha intensific­ato le relazioni e la creazione di partnershi­p con altre imprese. Tant’è che la maggioranz­a delle Pmi (56,7%) ritiene che per essere competitiv­i sul mercato sia necessario aggregarsi ad altre imprese, piuttosto che fondersi con altre aziende.

Un terzo aspetto riguarda la definizion­e delle priorità oggi legate al Recovery Fund. Sotto questo profilo (Reputation Science – Open Fiber), gli imprendito­ri hanno ben chiari i tasti da toccare: gli investimen­ti nelle infrastrut­ture (18,7%), nella formazione del capitale umano e nel sistema scolastico (15,2%), nella digitalizz­azione (14,2%), nella sostenibil­ità ambientale e la manutenzio­ne del territorio (14,1%), senza dimenticar­e il sistema sanitario (12,2%).

Uscire dalla logica della dispersion­e delle rilevanti risorse disponibil­i, per addensarle su alcune linee progettual­i prioritari­e. Sostenere la propension­e delle imprese a inserirsi in reti di relazione fondate su competenze e profession­alità. Due asset per disegnare un nuovo sviluppo.

Università di Padova

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