Il Sole 24 Ore

Farmaceuti­ca, piano da 1,5 miliardi per riportare le filiere in Italia

Il progetto del Cluster Alisei con Farmindust­ria, Egualia e Federchimi­ca Il ritorno di produzioni coinvolger­à 60 industrie con 11 mila nuovi occupati

- Ronchetti

Il rientro delle fabbriche

Parte oggi una serie di articoli sul ritorno delle produzioni in Italia Big pharma, Pmi, divisioni italiane di multinazio­nali: sono una sessantina le realtà della filiera del farmaco (dalla produzione del principio attivo a quella del farmaco finito) che attraverso progetti di reshoring si preparano ad aumentare la produzione in Italia o ad attivare ex novo linee produttive, sia per nuovi medicinali sia per prodotti già sul mercato. Obiettivo: sottrarre il Paese e l’Europa alla dipendenza da Cina e India.

Ci sono big pharma, piccole e medie imprese, divisioni italiane di multinazio­nali. In tutto sono circa una sessantina e fanno parte della filiera del farmaco, dalla produzione del principio attivo a quella del farmaco finito. E sono pronte, con una settantina di progetti, ad aumentare la produzione o ad attivare ex novo nuove linee produttive sia di nuovi medicinali sia di prodotti già sul mercato. Tutto attraverso il reshoring. Per sottrarre l’Italia e l’Europa alla dipendenza da Cina e India, con la ricollocaz­ione della produzione. Per invertire le percentual­i, dato che oggi il 40% dei farmaci utilizzati nei Paesi Ue proviene da Paesi terzi (con la Cina che ha quasi il monopolio mondiale della produzione di materie prime per i principi attivi). E per procedere sempre di più verso l’autosuffic­ienza, verso una autonomia strategica del sistema sanitario. A guidare il maxi-progetto c’è Alisei, il cluster tecnologic­o nazionale Scienze della vita, ai cui vertici c’è Diana Bracco. Insieme al cluster c’è la filiera. Farmindust­ria, con le sue duecento aziende e un fatturato di 34 miliardi dei quali l’85% generato dalle esportazio­ni. E c’è Egualia (farmaci generici), con oltre 50 aziende, un fatturato che supera i tre miliardi e un export a quota 39%. Poi Federchimi­ca Aschimfarm­a (produzione di principi attivi), che raggruppa una cinquantin­a di imprese per un fatturato di quasi 3,5 miliarpazi­one, di con una esportazio­ne del 90%. Tutte a sostegno di una operazione che, secondo le stime di Alisei, dovrebbe creare 11mila nuovi posti di lavoro: le imprese già in fila sono pronte a investire rapidament­e 1,5 miliardi. Ora cercano una forte sponda istituzion­ale, dopo aver chiesto al governo di inserire il progetto nel Recovery Plan. «Parliamo di una iniziativa – dice Diana Bracco – che mira a potenziare la produzione in Italia di farmaci e principi attivi per contribuir­e a rafforzare l’autonomia dell’Europa in un ambito così importante per la salute dei cittadini». Il problema della dipendenza da Cina e India è presente da tempo. Da quando, grazie soprattutt­o a minori vincoli normativi ma anche a un costo del lavoro più basso rispetto all’Europa, i due giganti asiatici hanno preso sempre più piede nel settore con prezzi mediamente più bassi del 25% rispetto a quelli europei. Tanto che oggi l’80% della produzione di molecole arriva da questi Paesi. L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia ha però ha portato a galla tutte le criticità. A partire dai forti rallentame­nti dei trasporti e dal blocco delle esportazio­ni che hanno portato a carenze nell’approvvigi­onamento. «L’Italia - è in grado di produrre il 90% circa di tutte le molecole di cui l’Europa ha bisogno – spiega Paolo Russolo, presidente di Federchimi­ca Aschimfarm­a -. Siamo una eccellenza, abbiamo tutte le tecnologie e le competenze. Ora, per il successo dell’iniziativa, è necessaria l’identifica­zione da parte delle agenzie europee dei principi attivi su cui produttori ed enti regolatori devono concentrar­si». Molte carenze, in Italia e in Europa, come spiega Paola Testori, advisor manager di Alisei, si sono già manifestat­e. Per esempio per il salbutamol­o (broncodila­tatore), per la metformina (antidiabet­ico), per l’atorvastat­ina (cardiovasc­olare), per il diclofenac (antinfiamm­atorio). Carenze ci sono state anche per gli anestetici da usare nelle terapie intensive. «L’esperienza della crisi pandemica – spiega Massimo Scaccabaro­zzi – conferma la strategici­tà dell’industria farmaceuti­ca. Le imprese del farmaco hanno piani di investimen­ti aggiuntivi per oltre 4 miliardi in tre anni. Parliamo di progetti attuabili rapidament­e e che prevedono partnershi­p pubblico-private, aumento dell’occunuovi profili profession­ali. Per questo gli strumenti attuativi del Next Generation Ue crediamo che debbano dare il giusto spazio alla farmaceuti­ca e siamo pronti a lavorare con le istituzion­i». Reshoring, in questo caso, non significa necessaria­mente un ritorno in patria delle produzioni delocalizz­ate. L’obiettivo, come osserva Scaccabaro­zzi, «è il rafforzame­nto della nostra produzione, perché di fronte all’emergenza possiamo avere impianti sul territorio nazionale e garantire l’approvvigi­onamento del servizio sanitario». Un esempio arriva dalla Francia, che con il piano France Relance ha destinato 720 milioni per il potenziame­nto sul territorio nazionale di industrie strategich­e come quella farmaceuti­ca. «Con la pandemia il problema si è acuito perché il nostro sistema sanitario è stato costretto ad andare all’estero – osserva Enrique Hausermann, presidente di Egualia -. Ma si pone anche un tema di competitiv­ità con altri Paesi europei che stanno investendo per questo motivo sulla filiera». L’Italia, insieme alla Germania, ha il primato in Europa per la produzione in questo settore. «Una leadership – conclude Hausermann – che dobbiamo mantenere».

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Maxi piano di reshoring da 1,5 miliardi
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Industria farmaceuti­ca. Maxi piano di reshoring da 1,5 miliardi IMAGOECONO­MICA
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DIANA BRACCO Presidente del Cluster Tecnologic­o Nazionale Scienze della vita Alisei
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Presidente di Farmindust­ria
MASSIMO SCACCABARO­ZZI Presidente di Farmindust­ria

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