Spread: fiducia e Bce limitano la volatilità
Più della forbice con i Bund preoccupa gli operatori il livello dei tassi
L’archiviazione in tempi rapidi del tema della fiducia al Governo Conte finisce per dare per il momento ragione a quanti fra gli investitori hanno sempre creduto in una soluzione della crisi nel segno della continuità e senza il temuto ricorso anticipato alle urne. È infatti soprattutto questa convinzione, oltre chiaramente al sostegno della Bce, ad aver contenuto in 10-15 punti base la volatilità dello spread fra BTp e Bund nell’ultima settimana.
Parrebbe quindi che anche fuori dai confini nazionali gli operatori si siano ormai assuefatti ai capricci della politica italiana e preferiscano concentrarsi su temi di portata globale e a più lunga gittata. «Siamo più preoccupati per il livello assoluto dei tassi che per lo spread stesso», conferma Marie-Anne Allier, gestore del fondo Carmignac Sécurité, laddove la parola «preoccupazione» è forse eccessiva, perché l’aumento dei rendimenti sarebbe la conseguenza di una buona notizia: il ritorno a una crescita economica convincente post Covid e a una «sana» inflazione.
L’idea è che in Europa possa riproporsi la trama che va ora in onda negli Stati Uniti, dove l’aspettativa di una ripresa più robusta delle attese ha fatto risalire dallo 0,70% all’1,10% il tasso decennale dei titoli di Stato. Finora il Bund ha recuperato appena 15 punti in termini di rendimento, ma il movimento potrebbe proseguire quest’anno, influenzando tutti gli altri governativi, BTp compresi. Si tratterebbe però di una reazione a un fenomeno virtuoso, con maggiori effetti sulle scadenze più lunghe.
Visto in chiave italiana, il «cuscinetto» dello spread potrebbe mitigare il rialzo, ma forse non a sufficienza per compensare del tutto l’aumento del livello generale dei tassi. «Se quello del Bund decennale dovesse crescere di 40-50 punti base dubito che il differenziale fra Italia e Germania possa diminuire in misura analoga», riconosce Allier. In termini assoluti il Tesoro potrebbe quindi non trovare nel 2021 le stesse condizioni di favore degli ultimi mesi per collocare sul mercato nuovo debito, anche nel caso le tensioni sull’Italia dovessero stemperarsi.
Non bisogna poi pensare necessariamente che la Bce sia pronta a intervenire per frenare i rendimenti sovrani . «Non lo farà, se questo movimento è dovuto alle attese del mercato per un ritorno dell’inflazione a sua volta legato a una ripresa economica in anticipo sul previsto», avverte Allier, che vede l’Eurotower alzare la guardia soltanto in caso di fenomeni connessi a un peggioramento delle condizioni finanziarie in Europa e non a un virtuoso (e auspicabile) ritorno alla normalità.
Difficile, ragionando ancora sulla politica italiana, che l’argomento possa essere sollevato nella riunione odierna del board dell’istituto centrale. «Per la Bce un episodio di volatilità così ridotta sui BTp rappresenta un non-evento e il presidente Christine Lagarde – ipotizza Allier non commenterà le vicende politiche di un singolo Paese, preferendo rispondere considerando un contesto più allargato ai periferici». Il tema della futura gestione del debito eccessivo - ormai non più un problema della sola Italia, ma esteso a quasi tutta l’Eurozona - tornerà d’attualità fra qualche anno: adesso occorre curare gli effetti della pandemia.