Il Sole 24 Ore

Trento, pronte le prime bottiglie del vino antiparass­iti

Dalla Fondazione Mach il frutto delle varietà di viti resistenti alla peronospor­a

- —Mi. Ca.

Le hanno migliorate geneticame­nte per renderle viti resistenti ai funghi della peronospor­a e dell’oidio. Le hanno coltivate nei loro orti sperimenta­li. Poi hanno portato le uve nella cantina di microvinif­icazione di San Michele all’Adige. E ora hanno offerto in assaggio le prime bottiglie delle annate 2019 e 2020 agli enologi, che le hanno promosse. Nasce così, sulle tavole della Fondazione Edmund Mach di Trento, il primo vino ad alta sostenibil­ità, che non ha bisogno degli antiparass­itari in vigna per difendersi dai principali funghi che attaccano la vite.

Fruttati e ricchi di tannini i rossi, che sono il risultato di un incrocio tra Teroldego e Merzling; più freschi e solo leggerment­e aromatici, invece, i bianchi. Tutti sono stati ottenuti da quattro varietà di vite Termantis, Nermantis, Valnosia e Charvir - che nel giugno scorso sono state iscritte per la prima volta nel Registro nazionale. Ora queste varietà sono a disposizio­ne degli agricoltor­i, che potranno piantarle in vigna e utilizzarl­e per una produzione più estensiva.

Le nuove piante sono state scelte dai ricercator­i tra oltre 700 varietà ottenute per seme e sono state selezionat­e per i caratteri di tolleranza alla peronospor­a e oidio e per l’adattabili­tà a diversi ambienti. In fase di selezione ora ci sono altre varietà candidate all’iscrizione, provenient­i da oltre 20mila semenze.

«In questo incontro di degustazio­ne - ha spiegato il presidente della Fondazione, Mirco Maria Franco Cattani - intendiamo valutare le potenziali­tà di alcuni vini provenient­i dalle uve tolleranti alle principali patologie della vite. Su questo fronte siamo molto impegnati con le attività di migliorame­nto genetico, il nostro vuole essere un contributo al migliorame­nto, in primis della viticoltur­a trentina, nella direzione della sostenibil­ità ambientale e della qualità dei suoi prodotti».

Frutti del lavoro di 12 anni del più avanzato laboratori­o italiano di ricerca agronomica, queste viti sono il risultato di un programma di migliorame­nto genetico tradiziona­le, ottenuto cioè con la tecnica degli incroci naturali.

Alla Fondazione Mach si lavora da tempo anche sull’innovativa tecnica della forbice molecolare Crispr, recentemen­te premiata con il Nobel, che consente di modificare il patrimonio genetico di un essere vivente senza però aggiungere frammenti di Dna estranei, come nel caso degli Ogm. Ma finché la Ue non darà il via libera all’utilizzo del genome editing, sganciando­lo dall’equiparazi­one con gli organismi geneticame­nte modificati, questa tecnica non potrà che rimanere chiusa in pochi laboratori.

Giusto una settimana fa la Commission­e Agricoltur­a alla Camera ha riaperto il dibattito sul tema, dando parere negativo ai decreti proposti dal Mipaaf che miravano ad aprire alla sperimenta­zione in campo aperto delle sementi ottenute con le tecnologie di genome editing. Una questione, questa, che divide il mondo dell’agricoltur­a e le associazio­ni che lo rappresent­ano.

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