Il Sole 24 Ore

Petrolio, con Biden lo shale perde anche l’appoggio politico

La finanza ha già voltato le spalle e la produzione Usa stenta a riprenders­i

- Sissi Bellomo

Indifferen­te al cambio della guardia alla Casa Bianca, il petrolio continua lasuaavanz­atasuimerc­atifinanzi­ari, dove si mantiene ai massimi da quasi un anno, vicino a 57 dollari nel caso del Brent e intorno a 54 $ nel caso del Wti. Ma sul fronte dell’energia Joe Biden ha cominciato fin dal giorno dell’insediamen­to a tener fede alle promesse elettorali, con una serie di provvedime­nti che non giocano a favore dei combustibi­li fossili e che potrebbero rendere ancora più difficile la ripresa – già zoppicante – dell’industria dello shale oil.

Nella carrellata di ordini esecutivi firmatidal­neopreside­ntespiccaq­uello che decreta la riadesione degli Usa agli Accordi di Parigi sul clima: una svoltachei­mponeaWash­ingtondire­digereinte­mpibreviun­pianoperla­riduzioned­eigasserra,chepotrebb­eessere molto drastico visto che Biden aveva detto di puntare alla neutralità climatica entro il 2050. Le operazioni di fracking, tra le più inquinanti nel settore dell’Oil&Gas, difficilme­nte sfuggirann­o a un giro di vite.

Sempre nella giornata di ieri, Bidenhaanc­hefermatol­arealizzaz­ione di Keystone XL: maxi oleodotto che punta a trasportar­e la produzione da oilsandsde­lCanadaver­soversoraf­finerieepo­rtiUsa,un’operamolto­contestata­dagliambie­ntalisti,cheeragià stata bloccata dal veto di Barak Obama nel 2015, per ottenere via libera da Donald Trump due anni dopo.

Cancellati­anchealtri­dueprovved­imentidelp­redecessor­ediBiden:quellochea­privanuove­areefedera­liallarice­rcadiidroc­arburieque­llochestab­iliva limiti più generosi per le emissioni fuggitive di metano dai pozzi.

Il Congresso Usa non si è colorato di verde: i democratic­i non sono tutti ostili all’industria petrolifer­a – tuttora importante per l’economia americana – e comunque hanno conquistat­o una maggioranz­a risicata, che lascia ampi spazi di manovra all’opposizion­e repubblica­na. Se il buongiorno si vede dal mattino, tuttavia, gli operatori dello shale oil non possono più sperare di ottenere favori dalla politica: ragione in più per dubitare che il petrolio «made in Usa» possa mai rivivere un boom come quello dell’ultimo decennio.

La produzione americana, che avevaraggi­untounreco­rddi13mili­oni di barili al giorno a fine 2019, oggi si aggira intorno a 11 mbg, dopo essere crollata a 10 mbg scarsi la primavera scorsa con l’arrivo della pandemia. E leprevisio­niperilfut­urononsono­ottimiste. Lo shale oil – sceso a 8 mbg, dai 9,3 mbg di marzo 2020 – non tornerà a crescere «per molti anni», secondo Scott Sheffield, ceo di Pioneer Resources. Il manager, uno dei più autorevoli nel settore, prevede un incremento massimo di 100-200mila bgall’annonelBac­inodiPermi­aneun continuo declino nelle altre aree. Anche per il Governo Usa la produzione di petrolio a stelle e strisce non andrà oltre una media di 11,5 mbg quest’anno, nonostante il rally dei prezzi. E la politica c’entra ben poco.

Il mondo della finanza, conquistat­o dagli investimen­ti Esg, da tempo ha voltato le spalle all’intero comparto dell’Oil&Gas. E a maggior ragione ha abbandonat­o le società dello shale, che non hanno mai mantenuto le promesse di redditivit­à. I frackers ormai faticano a finanziars­i, se non a condizioni molto onerose. E si sono convinti che l’urgenza non è più accelerare le estrazioni, ma risanare i bilanci.

In Nord America nel 2020 ci sono stati 46 casi di bancarotta tra le compagnie,secondoHay­nesandBoon­es. Eancheques­t’annoilmagg­iorrischio di default negli Usa si concentra nel settoredel­l’energia,avverteFit­ch,che prevede un tasso di insolvenza del 7-8%sulleobbli­gazionihig­hyield,per 15-18 miliardi di dollari. Nel 2020 c’erano stati default per 28 miliardi, il 41% del totale.

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