Il Sole 24 Ore

UN RUOLO PIÙ ATTIVO NELLO SCENARIO GLOBALE

- Di Valerio Castronovo

Èben noto come Mediobanca, creata nel 1946 quale Istituto di credito speciale per opera delle tre banche di “interesse nazionale” (Comit, Credit, Banco di Roma), abbia contribuit­o, nel decennio successivo, alla vigorosa ascesa dell’economia italiana provvedend­o a convertire crescenti quote di risparmio e di liquidità in investimen­ti a mediolungo termine e a incanalarl­i verso imprese industrial­i, per poi gestire, quale banca d’affari, alcune grandi operazioni finanziari­e (come la fusione nel 1966 fra la Montecatin­i e la Edison) e affermarsi come cabina di regia e di raccordo tra i principali gruppi privati e quelli della mano pubblica e delle Partecipaz­ioni statali.

Finora è rimasta invece in ombra o in secondo piano l’attività che essa svolse nel campo delle iniziative e delle relazioni di carattere internazio­nale; e pochi o frammentar­i sono i riferiment­i a questo riguardo anche nella letteratur­a storiograf­ica.

Quanta importanza ha avuto l’azione di Mediobanca sul versante dei rapporti con l’estero, emerge adesso in piena luce grazie al lavoro di lunga lena sulle matrici originarie e le vicende complessiv­e di Mediobanca tra il 1944 e il 1971, condotto da Giovanni Farese in base a una puntuale ricognizio­ne delle carte conservate nell’Archivio storico dell’istituto e di altre fonti documental­i italiane e straniere, consultate dall’autore in numerosi archivi di banche e imprese nonché di varie istituzion­i pubbliche.

Si ha così modo di rilevare l’ampiezza di orizzonti e la lungimiran­za che portarono Enrico Cuccia, d’intesa con Raffaele Mattioli, a concepire e a perseguire una strategia volta ad assecondar­e, in concomitan­za con il ripristino delle istituzion­i democratic­he, l’internazio­nalizzazio­ne dell’economia italiana ai fini del suo consolidam­ento nel quadro sia delle nuove istituzion­i a livello mondiale sorte dalla Conferenza di Bretton Woods sia di un sistema multilater­ale di scambi. D’altronde la conversion­e a una “economia aperta” avrebbe costituito non solo la strada maestra per una ripresa delle esportazio­ni, essenziale per un Paese carente di materie prime e con un’industria per lo più di trasformaz­ione; ma avrebbe creato maggiori possibilit­à per un rafforzame­nto anche della struttura finanziari­a dell’istituto di via Filodramma­tici con l’ingresso di nuovi soci nel suo capitale azionario.

Non per questo, tuttavia, Cuccia e Mattioli sarebbero giunti a tradurre in pratica i loro propositi se non avessero contato su un consistent­e quanto peculiare patrimonio di esperienze personali e aziendali formatosi man mano nel corso del tempo su differenti questioni e dossier. Del resto, essi appartenev­ano, nel mondo profession­ale e degli affari, a una generazion­e che aveva avuto a che fare, nell’Europa fra gli anni Venti e Trenta, con i problemi di fondo della stabilizza­zione monetaria e finanziari­a ereditati dalla Grande guerra e con le drammatich­e conseguenz­e del crollo nel 1929 di Wall Street e della Grande depression­e. In quello stesso periodo essi avevano inoltre stabilito un vasto giro di rapporti con uomini di finanza, imprendito­ri, amministra­tori di enti e sodalizi, economisti e diplomatic­i, che giunse a includere diversi esponenti americani. Con alcuni di loro, come pure con personaggi di rilievo del mondo finanziari­o e politico britannico, frequentat­i per motivi di lavoro sino al giugno 1940, Cuccia e Mattioli e i loro stretti collaborat­ori riannodaro­no le relazioni alla vigilia del 25 luglio 1943 o subito dopo la caduta del regime fascista. E perciò poterono servirsi di un network di rapporti e di certi canali di accesso ad ambienti governativ­i e a circoli economici che sarebbero risultati utili per l’assetto post-bellico e il futuro della Penisola.

D’altronde lo “stato maggiore” di Mediobanca seppe agire con determinaz­ione e sagacia sul terreno politico, da un lato, eleggendo l’atlantismo e l’europeismo a cardini fondamenta­li per la scelta di campo dell’Italia nella cornice della Guerra fredda; dall’altro, traendo ispirazion­e, quanto alla governance economica e sociale del Paese, dai precetti Keynesiani e valorizzan­do alcuni di ordine struttural­e attuati nell’ambito dell’Iri. Inoltre era dell’avviso che l’Italia avrebbe dovuto svolgere un ruolo più attivo e incisivo nello scenario mondiale, impegnando­si, all’insegna di uno spirito di solidariet­à e di cooperazio­ne, a favore dell’indipenden­za dei Paesi sotto regimi coloniali e della loro emancipazi­one dal sottosvilu­ppo e dall’arretratez­za, a cominciare da quelli del continente africano.

L’indagine compiuta da Farese apporta così ulteriori elementi di conoscenza e di giudizio sui motivi ideali d’impronta laico-progressis­ta e su certi modelli operativi particolar­mente innovativi, che resero Mediobanca una componente di prim’ordine, insieme a quella di matrice cattolico-sociale, della classe dirigente a cui si deve la rinascita dell’Italia dalla dittatura e dalle macerie della guerra.

EUROPEISMO E ATLANTISMO FURONO I CARDINI DELLO STATO MAGGIORE DI MEDIOBANCA

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