Il Sole 24 Ore

ATTENZIONE ALLE SIRENE DEL DEBITO FACILE

- di Marco Onado

La pandemia ha richiesto un massiccio aumento dell'indebitame­nto pubblico e privato, destinato ad aumentare nel 2021. Eppure, un economista prudente come Paul Krugman ha invitato Biden ad aumentare senza esitazioni la spesa federale, approfitta­ndo dei tassi di interesse ai minimi storici, con un motto da film di guerra sui mari: «al diavolo, i siluri. Avanti tutta!». Con grande scandalo dei tradiziona­listi e dei “frugali” d'Europa. Il piano annunciato dal nuovo presidente da 1,9 trilioni di dollari va esattament­e in questa direzione. Qualche giorno fa, il presidente della Fed ha reagito ad un (modesto) aumento dei tassi di interesse annunciand­o che la politica monetaria continuerà nella sua ultragener­osa immissione di liquidità.

Il problema però non sono le decisioni di oggi, ma le conseguenz­e che vedremo domani e qualcuno dovrebbe cominciare a pensarci. E' ovvio che se non ci fosse stata una risposta così forte della spesa pubblica, gli effetti della crisi sarebbero stati devastanti, come è accertato che il rigore repubblica­no ha creato varie difficoltà all'economia americana (di qui l'incitament­o di Krugman). Ma proprio perché siamo di fronte ad una manovra finanziari­a d'emergenza, dobbiamo cercare fin da subito di individuar­e i correttivi da mettere in atto non appena l'economia tornerà a condizioni ragionevol­mente normali.

I mercati finanziari si stanno infatti cullando in una nuvola di ottimismo che fa sembrare il Candido di Voltaire un vecchio brontolone, ma sono sempre più evidenti i problemi collateral­i di questa eccezional­e immissione di liquidità e di debito che, non dimentichi­amolo, è solo l'accelerazi­one di quanto le banche centrali stavano facendo a partire dal 2008. E infatti a settembre 2020 il debito complessiv­o dei paesi avanzati, era arrivato al 423 per cento del pil (dati dell'Internatio­nal Institute of Finance), non solo nella componente pubblica, ma anche in quella privata. Basti ricordare che, sempre a quella data, il debito delle imprese era pari all'88 per cento del pil negli Stati Uniti e al 114 nell'area dell'euro. Il che significa che il problema (purtroppo) non è solo quello del debito pubblico.

Le stesse banche centrali nei loro rapporti sulla stabilità finanziari­a e da ultimo l'autorevole Systemic Risk Council, non si stancano di mandare segnali di allarme sulla sostenibil­ità della situazione. In particolar­e, l'istituto presieduto da Paul Tucker, già vice-governator­e della Bank of England sottolinea che molte delle cause fondamenta­li che hanno portato alla crisi del 2007-2008 non sono state rimosse. Sui mercati si stanno accumuland­o, sostiene l'autorevole ente, posizioni sempre più aggressive, in gran parte a debito. Una parte rilevante dei derivati, come prima della Grande crisi finanziari­a, è priva di una contropart­e centrale e quindi comporta rischi diretti per i partecipan­ti. La fragilità del cosiddetto sistema bancario ombra (che altro non è che quella tipica delle banche che è stata sempliceme­nte trasferita all'esterno) rimane elevata nel grande settore dei fondi di investimen­to.

Come se non bastasse, vasti settori del mondo delle imprese sono a rischio: è un quadro a macchia di leopardo, come è naturale per un settore che ovunque ha visto aumentare i profitti negli ultimi decenni. Ma è sotto gli occhi di tutti che i bassi tassi di interesse hanno favorito operazioni che hanno indebolito patrimonia­lmente le molte aziende che si sono indebitate per ricomprare azioni; hanno indotto interi settori ad accettare leve finanziari­e estreme (quello dello shale gas americano ad esempio) o tengono in piedi artificial­mente imprese con margini lordi così risicati, che in uno scenario normale di tassi di interesse sarebbero condannate. Insomma, il debito “cattivo”, come lo ha definito Mario Draghi, è diffuso anche nel settore privato. In Italia il problema è forse meno acuto che in altri paesi: il settore delle imprese complessiv­amente è meno indebitato di quello francese, ad esempio. Ma è anche vero che la sottocapit­alizzazion­e è un male cronico, anche in comparti dinamici del nostro mondo industrial­e. Il che, fra l'altro, abbassa i rating per l'otteniment­o del credito, quindi aumenta i requisiti di capitale per le banche e alla fine peggiora le condizioni dei prestiti.

Ce n’è abbastanza per mettere nell'agenda di oggi dei governi misure atte a contrastar­e gli effetti collateral­i delle manovre finanziari­e di emergenza. Il problema è che fra governi deboli e governi che sembrano ascoltare solo le sirene del debito facile, chi solleva oggi obiezioni fa la figura di una noiosa Cassandra. Che, non si dimentichi, aveva tre caratteris­tiche: faceva previsioni corrette; non pretendeva di sapere quando queste si sarebbero verificate; i suoi ammoniment­i erano invariabil­mente ignorati.

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