Fondi contro Etf, ecco i vincitori
Nell’anno del Covid le gestioni attive fanno bene sull’azionario, non sui bond
Meglio puntare sulla bravura del gestore professionista, anche se costa un po’ di più, o sulla probabilità di rialzo di un mercato o di un suo segmento, con uno strumento economico che ne copi esattamente la traiettoria?
Nel 2020 il dilemma si è risolto a favore di una gestione attiva per i prodotti dei mercati più a rischio (come le azioni), dove i professionisti degli investimenti hanno più spazio di manovra per generare valore. Viceversa, la gestione passiva ha premiato dove i margini di profitto sono risicati (come nel comparto delle obbligazioni a breve termine) e la convenienza degli strumenti è un fattore rilevante per i guadagni.
Certo, c’è dispersione di risultati anche tra i fondi attivi della stessa categoria. In generale, i gestori che hanno spinto sul rischio approfittando dei rimbalzi dai minimi di metà marzo o che per mandato sono esposti a nicchie beneficiate dal recupero hanno amplificato i risultati.
L’indice europeo Stoxx 600 ha perso il 4%, mentre il miglior fondo azionario Europa che ha puntato sulle small cap nordiche ha guadagnato oltre il 40%; il Ftse Mib è sceso del 5% e il Ftse Italia Small Cap del 4,6%, ma il miglior fondo azionario a Piazza Affari che ha selezionato le società tricolori a minor capitalizzazione, è salito del 16,4%.
Nel comparto obbligazionario, il parallelo tra fondi attivi e passivi è più serrato, per via delle quotazioni tirate dei titoli e dei rendimenti schiacciati. Inoltre, gli oneri dei fondi attivi incidono sui profitti.
Ha premiato la leva del lungo termine o delle emissioni meno affidabili, tornate appetibili. Un Etf specializzato sui bond europei a 25 anni ha segnato un rialzo del 17%, contro il 13% dei fondi attivi diversificati generalmente sui bond a lunga scadenza e a fronte delle perdite (anche del 9%) di quelli che hanno puntato sulle brevi durate.