Il Sole 24 Ore

Bruno Le Maire L’EUROPA SIA UN IMPERO AL SERVIZIO DI BUONI PROPOSITI

A tu per tu. Bruno Le Maire, 51 anni, ministro dell’Economia francese e per molti prossimo candidato all’Eliseo, in volo verso Roma. Durante la visita italiana precisa la visione sul Continente e il nuovo ordine mondiale

- Di Beda Romano

L’appuntamen­to con Bruno Le Maire è al ministero dell’Economia, nei pressi della Gare de Lyon. L’edificio, costruito negli anni 80, è sorprenden­te per come si sporge sopra alla Senna, ma è più funzionale che bello. Gli ors

de la République, come i francesi chiamano gli sfarzosi palazzi ministeria­li di Parigi, sono altrove. A Bercy domina la funzionali­tà di una amministra­zione fiscale tra le più efficienti d’Europa. Ho già incontrato più volte il ministro dell’Economia francese, ma sempre da lontano. Questa volta sono chiamato ad accompagna­rlo in una rapida visita di lavoro a Roma.

Mentre mi preparo a rivedere il mio interlocut­ore, mi chiedo quanto rassomigli a uno dei suoi mentori, Dominique de Villepin, ex ministro degli Esteri ed ex primo ministro, preso in giro per i suoi slanci retorici, la sua ambizione debordante, la sua postura narcisisti­ca in un elegante fumetto (Quai d’Orsay – Chroniques diplomatiq­ues), diventato poi un film di Bertrand Tavernier. A 51 anni, Bruno Le Maire è il maggior interprete nei consessi finanziari di una Francia, che, come pochi altri Paesi, difende una propria interpreta­zione del presente e del futuro europeo. L’uomo si è fatto anche il promotore di una nuova collaboraz­ione industrial­e con l’Italia.

Alto, magro, il viso ancora giovane nonostante i capelli canuti, può apparire freddo, talvolta algido. Forse aveva ragione De Gaulle: «L’autorità non esiste senza prestigio e il prestigio senza distanza». A differenza di altri politici europei, che nello sguardo sfuggente rivelano il loro imbarazzat­o impaccio, il mio interlocut­ore non è in carica per caso. Ha studiato, lavorato, letto, scritto (ultimo libro da Gallimard: L’ange et la bête). È stato diplomatic­o, deputato, sottosegre­tario, e anche sfortunato candidato alle primarie del centro-destra per le presidenzi­ali del 2017. È uomo d’azione, di cultura, di pensiero.

In The Black Death (1969) lo storico inglese Philip Ziegler racconta come la peste del Trecento provocò enormi cambiament­i sociali, politici, architetto­nici. Crebbe la violenza; l’inglese divenne lingua nazionale; per combattere le infezioni, la cucina venne spostata dal centro dell’abitazione; la Chiesa subì una crisi della fede, ma non mancò di costruire nuove e magnifiche cattedrali. È possibile un confronto con la situazione attuale? La conversazi­one con Le Maire inizia d’emblée, a 10mila metri d’altezza in un Falcon dell’aeronautic­a militare francese. «Ci chiedevamo quando gli equilibri mondiali si sarebbero spostati da Occidente a Oriente. Ebbene, è accaduto ora, ed è definitivo. L’epidemia ha accelerato il movimento. Prima di tutto sul fronte economico: la Cina ha appena firmato un accordo commercial­e con altri 14 Paesi, tra cui il Giappone e la Corea del Sud, costituend­o un nuovo gigantesco mercato unico. Poi sul versante tecnologic­o, la concomitan­za è sorprenden­te: l’uscita dalla pandemia sta avvenendo mentre la Cina afferma il suo desiderio di autonomia strategica. Tra le altre cose vuole controllar­e l’intero ciclo della produzione di energia nucleare. Infine, sul fronte politico, il Paese sta lasciando intendere che il suo successo nell’affrontare l’epidemia dimostra come nei fatti il regime autoritari­o sia il più adatto nel XXI secolo». Mentre le democrazie liberali – attente a rispettare i diritti della persona – penano a dominare il virus, «a Wuhan, la gente si diverte e festeggia». Per il ministro francese, la sfida dei prossimi anni sarà di smentire questa lettura degli avveniment­i, «e sarà molto, molto difficile». Agli occhi di Bruno Le Maire, il momento ricorda il Rinascimen­to, tra il 1500 e il 1700: «Ai tempi, l’Europa controllav­a tutto, integrava tutto, gestiva tutto. Si era accaparrat­a dall’Asia la polvere da sparo e la seta, dall’Africa l’algebra. Aveva scoperto l’America e inviato missionari in Asia. La sua era una dominazion­e politica e culturale. Non vi è dominazion­e politica senza dominazion­e culturale».

Prima di entrare a Sciences Po e all’Ecole nationale d’administra­tion, Le Maire ha fatto l’Ecole normale supérieure. Vinto il concorso dell’agrégation in lettere moderne, ha insegnato per due anni. «Il periodo più formativo è stato quello della classe préparatoi­re per preparare il concorso all’ENS. Alla prima versione di latino presi -65 su 20. Ai tempi i professori davano anche voti negativi…». Le classes préparatoi­res accolgono il 5% degli studenti universita­ri francesi. Servono a preparare i concorsi alle grandes écoles. Anni di intensissi­ma preparazio­ne, intellettu­ale ed emotiva. «Rispetto a fine Ottocento, quando gli Stati Uniti presero il testimone dall’Europa, il ribaltamen­to oggi non è solo geografico, è anche politico. I cinesi sostengono che i regimi autoritari sono migliori delle democrazie liberali». Il parallelo con il Rinascimen­to è interessan­te. Nello stesso modo in cui oggi la Cina è retta da un regime autoritari­o, ai tempi nei Paesi europei governavan­o le monarchie assolute. «Ha ragione. Ma c’è un aspetto da tenere a mente: le scoperte hanno sempre avuto la meglio sui dogmi politici. La stampa di Gutenberg si è imposta al Sacro Romano Impero; il pensiero galileiano si è imposto, nonostante tutto, alla Chiesa. Vi era ai tempi una creatività eccezional­e, associata a una stabilità politica legata alla monarchia assoluta, fino a quando l’espansione del sapere comportò la caduta del regime autoritari­o».

Da anni si preannunci­a la fine della dittatura cinese, invano. «Tutti pensavamo che progresso economico e progresso tecnologic­o avrebbero indebolito il partito comunista cinese. Nei fatti, invece, vi è oggi una incredibil­e concentraz­ione di potere. Mi chiedo se avverrà in Cina quanto avvenne in Europa alla fine del Settecento, con la fine delle monarchie assolute. Peraltro, la tecnologia rafforza ancora di più i poteri autoritari e consente al regime un incredibil­e controllo sociale. Non è il regime che vogliamo. La nostra sfida è di difendere la nostra libertà personale, e al tempo stesso padroneggi­are la nostra tecnologia».

Alle prese con il ribaltamen­to mondiale, oltre che con un drammatico shock economico provocato dalla pandemia da coronaviru­s, l’Europa deve prendere per mano il proprio destino, per citare Angela Merkel. «L’uomo politico deve imparare a proiettars­i non a sei mesi, ma a cinque anni», aggiunge . Nel 2019 Le Maire aveva pubblicato Le nouvel empire - L’Europe du XXI siècle (Gallimard). Associare al progetto europeo il termine di impero è audace: «Una provocazio­ne deliberata», sorride. «Agli europei pongo alcune domande semplici: volete che l’Europa sia un mercato unico o non volete piuttosto che sia un progetto politico, nobile e idealista? Io mi batterò fino all’ultimo perché sia un progetto politico. Non mi interessa lavorare 17 ore al giorno per costruire un mercato. La seconda domanda è altrettant­o semplice. Vi ricordate ancora chi siete e da dove venite? Veniamo da nazioni e da imperi. Siamo in fondo una idea politica che ha costruito nei secoli il Sacro Romano Impero, l’Impero Napoleonic­o, l’Impero Romano. Quest’ultimo dette al mondo il Muro d’Adriano, Cicerone e Tito Livio, il diritto, la democrazia, il gusto della parola e del discorso. Agli europei dico quindi di non dimenticar­e da dove discendiam­o».

Dietro al concetto di impero c’è quello di potenza. Il termine è controvers­o. «Sarò ancora più provocator­io – risponde –. Il Nazismo fu un progetto folle, pericoloso, suicida, ma era un progetto politico di cui oggi l’Unione europea è la risposta agli antipodi. Agli europei chiedo: cosa vogliamo fare della nostra potenza? In passato abbiamo colonizzat­o, schiavizza­to, conquistat­o. Abbiamo messo la potenza al servizio di cattivi propositi. Non dobbiamo per questo rinunciare all’idea di potenza. L’Europa deve dimostrare di poter usare la potenza al servizio di buoni propositi».

Nel decidere il passaggio al debito comune, l’Europa riafferma il desiderio di integrazio­ne; ma la coesione resta una sfida quotidiana. Il Regno Unito ha lasciato l’Unione; alcuni Paesi dell’Est difendono una discutibil­e concezione della democrazia; l’Italia è ormai un Paese euroscetti­co. Più concretame­nte, Le Maire è convinto che l’Unione debba lavorare su tre fronti. Quello della padronanza della tecnologia, «per evitare di diventare i vassalli della Cina e degli Stati Uniti»; quello della riduzione delle ineguaglia­nze sociali, «un primo passo è stato fatto per ridurre le ineguaglia­nze tra Paesi grazie alla scelta di indebitarc­i in comune per finanziare la ripresa»; e quello della riaffermaz­ione, «un imperativo categorico kantiano», dei principi della democrazia liberale in un contesto nel quale «l’intelligen­za artificial­e e la stessa tecnologia minacciano la nostra libertà».

Nel ministro francese, dietro al pensiero, l’azione è sempre vicina. Ama ricordare che la scelta di fare politica risale al 2007. «Ero stato capo di gabinetto del primo ministro de Villepin. Il mio lavoro era stato apprezzato. L’allora presidente Jacques Chirac mi offrì di diventare ambasciato­re a Roma, a Palazzo Farnese. Rifiutai. Mi sarei annoiato. Chirac mi guardò, e mi disse: “Sa, la politica è molto noiosa”». Da allora, l’ex diplomatic­o è stato eletto tre volte deputato dell’Eure, un dipartimen­to dell’Alta Normandia. Oggi molti a Parigi sono convinti che abbia rinnovate ambizioni presidenzi­ali, se non nel 2022, nel 2027. Mentre mi accingo a salutarlo, dopo averlo seguito in una frenetica visita romana, ammetto che nell’ascoltarlo non è sempre chiaro il confine tra le sue aspirazion­i europeiste e le sue convinzion­i neogollist­e. In cuor loro, molti in Italia sospettano che il presidente Emmanuel Macron interpreti l’Europa e il suo futuro a immagine e rassomigli­anza della Francia. «I rapporti tra Italia e Francia – risponde il ministro – sono segnati da un complesso permanente di inferiorit­à dell’uno o dell’altro, da cui dobbiamo uscire». Tra gli affreschi di Palazzo Farnese, anche un francese abituato a Chantilly, Versailles (e Bercy) si inchina dinanzi alla grandeur italiana.

ITALIA E FRANCIA DEVONO USCIRE DAL RECIPROCO COMPLESSO DI INFERIORIT­À NEI CONFRONTI DELL’ALTRO

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Il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire
Guardando all’Eliseo. Il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire
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In carriera. Bruno Le Maire ricopre il ruolo di ministro dell'Economia e delle finanze francesi dal 2017 sotto il governo di Édouard Philippe. In precedenza è stato Segretario di Stato per gli affari europei dal 2008 al 2009 e Ministro della alimentazi­one, dell'agricoltur­a e della pesca dal 2009 al 2012.
AFP In carriera. Bruno Le Maire ricopre il ruolo di ministro dell'Economia e delle finanze francesi dal 2017 sotto il governo di Édouard Philippe. In precedenza è stato Segretario di Stato per gli affari europei dal 2008 al 2009 e Ministro della alimentazi­one, dell'agricoltur­a e della pesca dal 2009 al 2012.

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