Il Sole 24 Ore

I VINCOLI CHE FRENANO IL MANDATO DI BIDEN

- Di Sergio Fabbrini

Centinaia di milioni di persone hanno seguito mercoledì scorso la cerimonia di giuramento del nuovo presidente americano Joe Biden. L’America continua ad essere, nonostante tutto, il punto di riferiment­o della politica globale. Ciò che avviene a Washington D.C. è destinato ad influenzar­e ciò che avverrà altrove. Alexis de Tocquevill­e (1805-1859) scrisse che l’America rappresent­ava il futuro degli altri Paesi. Ascoltando Biden, molti avranno pensato che quel futuro sarà migliore del passato lasciato da Donald Trump. Di sicuro. Tuttavia, esso non sarà così benigno come sarebbe necessario. Biden dovrà affrontare sfide interne ed esterne che vincoleran­no non poco la sua azione.

Cominciamo dalle sfide interne. Subito dopo il giuramento, Biden ha presentato il suo American Rescue Plan per contrastar­e l’emergenza pandemica. Si tratta di un Piano di 1.900 miliardi di dollari, costituito di quattro programmi: un programma per accelerare la vaccinazio­ne nazionale e riaprire le scuole prima possibile; un programma per assistere chi ha perso il lavoro (1.400 dollari al mese che si aggiungono ai 600 dollari già stanziati nel dicembre scorso) e per aiutare le piccole e medie imprese che hanno dovuto interrompe­re le attività; un programma per sostenere i governi locali e statali, oltre che le organizzaz­ioni comunitari­e impegnate nel contrasto alle conseguenz­e sociali della pandemia; un programma per modernizza­re la tecnologia informatic­a e proteggere il governo federale da attacchi cibernetic­i (come è avvenuto recentemen­te).

Iprovvedim­enti collegati a tali programmi dovranno essere approvati dal Congresso. Biden vorrebbe ricorrere alla procedura legislativ­a ordinaria (regular order) che prevede la discussion­e dei singoli provvedime­nti nelle commission­i e sottocommi­ssioni, il ricorso ad audizioni, quindi il voto. Tale procedura legislativ­a, però, non può funzionare senza un accordo tra i due partiti congressua­li (in particolar­e al Senato) e la loro disponibil­ità a rispettare impegni e tempi. Nonostante gli sforzi unitari di Biden, nel Congresso non ci sono le condizioni per una politica bi-partigiana. Alla Camera, molti rappresent­anti repubblica­ni dovranno essere eletti (nel 2022) in distretti elettorali che incentivan­o la loro radicalizz­azione. Al Senato, dove i repubblica­ni hanno 50 senatori, il leader repubblica­no Mitch McConnell ha già promesso fuoco e fiamme pur di difendere il filibuster­ing (cioè l’ostruzioni­smo consentito a 40 senatori per rinviare sine die una deliberazi­one indesidera­ta). L’avvio al Senato, tra due settimane, del (necessario) processo di impeachmen­t a Donald Trump accentuerà la contrappos­izione tra i due partiti. Inoltre, il Piano keynesiano di Biden ha alcune componenti (come l’incremento del salario minimo orario a 15 dollari, la reintroduz­ione di alcune regolament­azioni ambientali e la riduzione dei vantaggi fiscali concessi alle grandi corporatio­ns durante la presidenza Trump) che hanno già suscitato l’ira dei repubblica­ni più trumpiani. Certamente, Biden potrebbe fare approvare il Piano attraverso una diversa procedura (budget reconcilia­tion), in virtù della quale il Senato e la Camera votano a maggioranz­a semplice su proposte di bilancio con specifiche caratteris­tiche legislativ­e. Tuttavia, ciò siglerebbe la fine, per Biden, dell’approccio bipartigia­no prima ancora che inizi. Come ricostruir­e una politica civilizzat­a in un governo polarizzat­o?

Vediamo le sfide esterne. È indubbio che la Cina e la Russia non faranno sconti alla nuova presidenza, difendendo con determinaz­ione l’allargata sfera di influenza conquistat­a grazie al caos creato da Trump. Ma Biden non avrà una relazione facile neppure con gli europei. In un rapporto dell’European Council on Foreign Relations pubblicato pochi giorni fa (e discusso anche su questo giornale), Ivan Krastev e Mark Leonard hanno mostrato come l'esperienza trumpiana abbia modificato in profondità la percezione europea nei confronti dell’America. Dalle interviste condotte in undici Paesi europei emerge, addirittur­a, che due terzi (in media) degli intervista­ti (60% in Germania, 70% in Francia, 62% in Italia, tra gli altri) ritiene che l’Europa non possa più affidarsi all’America per la propria sicurezza. Tale diffidenza non conduce ad un maggiore ruolo internazio­nale dell’Europa, bensì al suo contrario (l’isolazioni­smo). Infatti, in caso di “disaccordo” tra America e Cina, ben il 60% in media degli intervista­ti (e ben il 66% dei tedeschi) ritiene che l’Europa debba rimanere neutrale tra le due potenze (stessa percentual­e a favore della neutralità nel caso di un “disaccordo” tra America e Russia). Secondo Krastev e Leonard, l’autonomia strategica di cui si parla in Europa potrebbe dunque scivolare in una visione puramente mercantile della politica internazio­nale. Tant'è che una maggioranz­a relativa di tedeschi (37%), di francesi (48%) e di italiani (42%) ritiene che l’Europa debba limitarsi a perseguire i propri interessi economici, anche in contrasto con l’America. Il Comprehens­ive Agreement on Investment, firmato il 30 dicembre scorso tra l’Unione europea e la Cina sotto la pressione della Germania di Angela Merkel, è un esempio di tale mercantili­smo apolitico. L’Europa come una grande Svizzera? Purtroppo per gli europei, il mondo dei commerci non esisterebb­e senza la sicurezza che garantisce i commerci. Seppure aiutato da un team di politica estera di grande qualità e competenza, Biden dovrà fare i conti con un’opinione pubblica europea dove l’antiameric­anismo, suscitato da Trump, si è trasformat­o in neutralism­o. Come ricostruir­e un’alleanza transatlan­tica rinnovata?

Insomma, le elezioni del 3 novembre scorso hanno registrato la sconfitta di Trump piuttosto che la vittoria dei democratic­i. All’interno, Biden dovrà operare in un sistema di governo bloccato dalla destra trumpiana ostile ad ogni compromess­o. All’esterno, Biden dovrà operare tra alleati diffidenti e potenze rivali. Come scrisse il sociologo Seymour Martin Lipset (1922-2006), non bisogna mai sottovalut­are le capacità dell'America di reinventar­si ma neppure sopravalut­are le sue capacità a farlo. Dopo tutto, l’America è la first new nation perché consiste in un esperiment­o politico.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy