Caso Navalny, proteste e arresti in tutta la Russia
Decine di migliaia di persone hanno raccolto l’invito del grande accusatore di Putin, rinchiuso in carcere, e sono tornate a dimostrare in numerose città del Paese chiedendone la liberazione
«Non avere paura Navalny, noi non ne abbiamo». Dicono sul serio, e sono in tanti. Molti più del previsto.
La Russia degli oppositori del Cremlino si è unita ieri alla sfida lanciata in carcere dal grande accusatore ed è scesa in piazza, dall’Estremo Oriente fino a Pietroburgo. Sfidando il freddo (-50° a Yakutsk, con la nebbia a confondere gli schieramenti di polizia e manifestanti), il contagio del coronavirus e gli avvertimenti delle autorità.
Gli arresti erano iniziati fin dalla vigilia contro chiunque invitasse a partecipare a un «evento pubblico illegale». Così come Navalny è stato fermato il 17 gennaio non appena ha messo piede in Russia, di ritorno dalla Germania dove è riuscito a superare l’avvelenamento che, accusa, è stato ordinato da Vladimir Putin, le autorità vorrebbero stroncare sul nascere ogni possibilità che il suo movimento si rafforzi, che il ritorno dell’attivista anti-corruzione raccolga abbastanza consensi da impensierire la tenuta del regime.
Ma lui è tornato per questo, convinto di poter essere più credibile nella sua crociata contro il potere dall’interno del Paese, anche dal carcere, piuttosto che dall’esilio.
La sua scommessa ieri è sembrata corretta. Vladivostok, Khabarovsk, Irkutsk, Omsk, Tomsk, Ekaterinburg, Novokuznetsk, Novosibirsk...secondo il sito Meduza, accompagnato dalle immagini dei lunghi cortei nella neve di tantissime città russe, il nome di Navalny non aveva mai suscitato tanto appoggio oltre i confini di Mosca o Pietroburgo. Giovani, ma non solo. Con o senza mascherina, in tasca
Dimostranti a Mosca con l’immagine di Navalny e la scritta «Uno per tutti e tutti per uno». L’arresto dell’attivista anticorruzione sta aumentando la sua popolarità il passaporto e le raccomandazioni diffuse dagli organizzatori alla vigilia: cosa portare in manifestazione, come evitare provocazioni, come comportarsi in caso di arresto.
«Putin vor!», Putin ladro, ripetono, e «Basta sopportare!». Un uomo tiene in mano un crocifisso, alcuni fingono di andare a passeggio e poi si uniscono alle marce, molti mostrano una fotografia di Navalny con la scritta “Uno per tutti, tutti per uno”. Oppure il volto di Putin, ed è lui dietro le sbarre: «Navalny libero!», grida un ragazzo cercando di tenere alto il suo cartello e una bandiera bielorussa mentre lo portano via.
A Mosca le autorità avevano fatto barricare piazza Pushkin, sperando di disperdere la protesta ancor prima dell’inizio, inutilmente. Gli Omon, agenti delle forze antisommossa, trascinano via i manifestanti circondati da una foresta di telefonini che li riprendono. Video che in parte andranno ad alimentare la mobilitazione sui social networks, in parte verranno sfruttati invece dai trolls che stanno proliferando tra TikTok e dintorni per screditare gli oppositori del regime.
Nella capitale viene portata via anche Yulia Navalnaya, la moglie dell’attivista anti-corruzione, e dal furgone della polizia posta un selfie su Instagram: «Scusate la qualità bassa, la luce è pessima qui dentro». Molti, nei giorni scorsi, si aspettavano che la donna da sempre al fianco di Navalny avrebbe ora assunto un ruolo più attivo.
«Il potere ha paura di questo, si capisce», racconta un ragazzo intervistato a Pietroburgo dalla tv Dozhd, vicina all’opposizione. Spiega di essere sceso a manifestare per la prima volta, «non tanto per Navalny ma per la libertà». Un signore meno giovane è fuori di sé: anche lui alla sua prima manifestazione, spiega che le autorità «hanno superato il limite», e si riferisce al video - diffuso dal movimento di Navalny nei giorni scontri - in cui vengono documentati l’esistenza e gli schemi finanziari dietro un sontuoso palazzo sulle rive del mar Nero, fortezza costata miliardi di rubli, «uno Stato nello Stato», il regno di Putin. «Quel palazzo appartiene al popolo! - sbotta il signore pietroburghese intervistato in tv -, ed è molto triste che il presidente del Paese non abbia ancora detto niente in proposito!».
È già slogan l’ennesimo attacco di Navalny, che dalla stazione di polizia ha definito Putin «il nonnetto nel suo bunker». Da Murmansk segnalano che la polizia non ha interferito con i dimostranti; a Komsomolsk-naAmur, all’estremo opposto del Paese, la gente ripete come una litania: «Lui non paura, e neppure noi». Immagini di dimostranti trascinati via nella fanghiglia di neve, scene più serene di girotondi e balli, come a Ulan Ude.
Con il passare delle ore si tirano le somme sul numero dei partecipanti, degli arresti, delle città coinvolte: è stata una giornata-chiave, e partendo da qui il fronte di Navalny e quello del Cremlino valuteranno i prossimi passi. Gli arresti a sera sono più di duemila, un record, sulla partecipazione è il consueto balletto: l’agenzia Reuters ha calcolato 40mila persone a Mosca, le autorità dicono 4.000 e il ministero degli Esteri ironizza su Telegram: «E perché non dite subito 4 milioni?».
Putin, che guarda alle elezioni parlamentari del prossimo settembre, dovrà calcolare il prezzo di un’ulteriore deriva autoritaria. Dovrà decidere se Navalny è più pericoloso per il regime dietro le sbarre o in libertà, se il suo movimento reggerà dopo questa prima prova e se sta acquisendo una solida dimensione nazionale. Oppure se è ancora realistico pensare di ridurre al silenzio, con la forza, le migliaia e migliaia di voci risuonate da ogni angolo del Paese.
Paese che non è una proprietà privata del regime. Una delle canzoni popolari tra i dimostranti è “Labyrinth”, brano di un rapper russo che si fa chiamare Face: «Io amo la Russia per il profumo delle sue bacche - canta Face -: essere contro il potere non significa essere contro la patria».
Un eroe del nostro tempo.