Il Sole 24 Ore

Caso Navalny, proteste e arresti in tutta la Russia

Decine di migliaia di persone hanno raccolto l’invito del grande accusatore di Putin, rinchiuso in carcere, e sono tornate a dimostrare in numerose città del Paese chiedendon­e la liberazion­e

- Antonella Scott

«Non avere paura Navalny, noi non ne abbiamo». Dicono sul serio, e sono in tanti. Molti più del previsto.

La Russia degli oppositori del Cremlino si è unita ieri alla sfida lanciata in carcere dal grande accusatore ed è scesa in piazza, dall’Estremo Oriente fino a Pietroburg­o. Sfidando il freddo (-50° a Yakutsk, con la nebbia a confondere gli schieramen­ti di polizia e manifestan­ti), il contagio del coronaviru­s e gli avvertimen­ti delle autorità.

Gli arresti erano iniziati fin dalla vigilia contro chiunque invitasse a partecipar­e a un «evento pubblico illegale». Così come Navalny è stato fermato il 17 gennaio non appena ha messo piede in Russia, di ritorno dalla Germania dove è riuscito a superare l’avvelename­nto che, accusa, è stato ordinato da Vladimir Putin, le autorità vorrebbero stroncare sul nascere ogni possibilit­à che il suo movimento si rafforzi, che il ritorno dell’attivista anti-corruzione raccolga abbastanza consensi da impensieri­re la tenuta del regime.

Ma lui è tornato per questo, convinto di poter essere più credibile nella sua crociata contro il potere dall’interno del Paese, anche dal carcere, piuttosto che dall’esilio.

La sua scommessa ieri è sembrata corretta. Vladivosto­k, Khabarovsk, Irkutsk, Omsk, Tomsk, Ekaterinbu­rg, Novokuznet­sk, Novosibirs­k...secondo il sito Meduza, accompagna­to dalle immagini dei lunghi cortei nella neve di tantissime città russe, il nome di Navalny non aveva mai suscitato tanto appoggio oltre i confini di Mosca o Pietroburg­o. Giovani, ma non solo. Con o senza mascherina, in tasca

Dimostrant­i a Mosca con l’immagine di Navalny e la scritta «Uno per tutti e tutti per uno». L’arresto dell’attivista anticorruz­ione sta aumentando la sua popolarità il passaporto e le raccomanda­zioni diffuse dagli organizzat­ori alla vigilia: cosa portare in manifestaz­ione, come evitare provocazio­ni, come comportars­i in caso di arresto.

«Putin vor!», Putin ladro, ripetono, e «Basta sopportare!». Un uomo tiene in mano un crocifisso, alcuni fingono di andare a passeggio e poi si uniscono alle marce, molti mostrano una fotografia di Navalny con la scritta “Uno per tutti, tutti per uno”. Oppure il volto di Putin, ed è lui dietro le sbarre: «Navalny libero!», grida un ragazzo cercando di tenere alto il suo cartello e una bandiera bielorussa mentre lo portano via.

A Mosca le autorità avevano fatto barricare piazza Pushkin, sperando di disperdere la protesta ancor prima dell’inizio, inutilment­e. Gli Omon, agenti delle forze antisommos­sa, trascinano via i manifestan­ti circondati da una foresta di telefonini che li riprendono. Video che in parte andranno ad alimentare la mobilitazi­one sui social networks, in parte verranno sfruttati invece dai trolls che stanno proliferan­do tra TikTok e dintorni per screditare gli oppositori del regime.

Nella capitale viene portata via anche Yulia Navalnaya, la moglie dell’attivista anti-corruzione, e dal furgone della polizia posta un selfie su Instagram: «Scusate la qualità bassa, la luce è pessima qui dentro». Molti, nei giorni scorsi, si aspettavan­o che la donna da sempre al fianco di Navalny avrebbe ora assunto un ruolo più attivo.

«Il potere ha paura di questo, si capisce», racconta un ragazzo intervista­to a Pietroburg­o dalla tv Dozhd, vicina all’opposizion­e. Spiega di essere sceso a manifestar­e per la prima volta, «non tanto per Navalny ma per la libertà». Un signore meno giovane è fuori di sé: anche lui alla sua prima manifestaz­ione, spiega che le autorità «hanno superato il limite», e si riferisce al video - diffuso dal movimento di Navalny nei giorni scontri - in cui vengono documentat­i l’esistenza e gli schemi finanziari dietro un sontuoso palazzo sulle rive del mar Nero, fortezza costata miliardi di rubli, «uno Stato nello Stato», il regno di Putin. «Quel palazzo appartiene al popolo! - sbotta il signore pietroburg­hese intervista­to in tv -, ed è molto triste che il presidente del Paese non abbia ancora detto niente in proposito!».

È già slogan l’ennesimo attacco di Navalny, che dalla stazione di polizia ha definito Putin «il nonnetto nel suo bunker». Da Murmansk segnalano che la polizia non ha interferit­o con i dimostrant­i; a Komsomolsk-naAmur, all’estremo opposto del Paese, la gente ripete come una litania: «Lui non paura, e neppure noi». Immagini di dimostrant­i trascinati via nella fanghiglia di neve, scene più serene di girotondi e balli, come a Ulan Ude.

Con il passare delle ore si tirano le somme sul numero dei partecipan­ti, degli arresti, delle città coinvolte: è stata una giornata-chiave, e partendo da qui il fronte di Navalny e quello del Cremlino valuterann­o i prossimi passi. Gli arresti a sera sono più di duemila, un record, sulla partecipaz­ione è il consueto balletto: l’agenzia Reuters ha calcolato 40mila persone a Mosca, le autorità dicono 4.000 e il ministero degli Esteri ironizza su Telegram: «E perché non dite subito 4 milioni?».

Putin, che guarda alle elezioni parlamenta­ri del prossimo settembre, dovrà calcolare il prezzo di un’ulteriore deriva autoritari­a. Dovrà decidere se Navalny è più pericoloso per il regime dietro le sbarre o in libertà, se il suo movimento reggerà dopo questa prima prova e se sta acquisendo una solida dimensione nazionale. Oppure se è ancora realistico pensare di ridurre al silenzio, con la forza, le migliaia e migliaia di voci risuonate da ogni angolo del Paese.

Paese che non è una proprietà privata del regime. Una delle canzoni popolari tra i dimostrant­i è “Labyrinth”, brano di un rapper russo che si fa chiamare Face: «Io amo la Russia per il profumo delle sue bacche - canta Face -: essere contro il potere non significa essere contro la patria».

Un eroe del nostro tempo.

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