È ancora lunga (e inquinante) la via per l’automobile elettrica
Molti dubbi su costi e tempi della conversione, da Bosch a Toyota
Il boom delle auto a batteria e ibride sembra incontrare qualche ostacolo. E alcuni big iniziano ad avere dubbi sul futuro, come testimoniato dai vertici di Toyota a Bosch, che hanno riaperto il dibattito su tempi e costi della conversione: su un parco globale di 1,4 miliardi di vetture, quelle a batteria arriveranno a 50 milioni solo nel 2025.
Il successo di Tesla può avere avuto un ruolo non secondario. Forse per questo ma anche per il boom delle auto a batteria e ibride in Germania (20% delle vendite in novembre) e in Cina (dal 5% del 2019 al 20% stimato per il 2025), si pensava che niente ormai avrebbe potuto placare la febbre della rivoluzione elettrica. Proprio in Cina una Tesla in pectore, Nio (+26% a Wall Street da inizio anno), ha appena superato Volkswagen per capitalizzazione. Altre due startup cinesi, Xpeng (+33%) e Li Auto (+21%) scalpitano. Negli Stati Uniti da tenere d’occhio sono Lucid e Rivian, che ha appena chiuso un round di finanziamenti da 2,5 miliardi di dollari (tra gli investitori Soros, Fidelity, BlackRock).
A maggior ragione può aver sorpreso lo scetticismo del ceo di Toyota, Akio Toyoda, e a ruota del presidente del consiglio di sorveglianza della Bosch, Franz Fehrenbach. Sostiene Toyoda che il reale impatto ambientale della cosiddetta auto pulita è molto lontano dall’essere zero. Il paradosso: «Più veicoli elettrici produciamo, più salgono le emissioni di anidride carbonica». Toyoda, va detto, si è riferito soprattutto al mercato interno attuale e agli obiettivi del governo Suga per il 2050. Una delle questioni più scottanti è la produzione di batterie. In Cina, per dire, un’industria che oggi domina il mercato basa i suoi consumi di energia per oltre metà sul carbone. Nello stesso Giappone la produzione di elettricità è ancora fortemente legata al carbone e al gas naturale. E così va anche in India, quinto mercato mondiale per vendite di auto e quinto paese per riserve di carbone.
Quanto a Fehrenbach, il responsabile della prima azienda al mondo nella componentistica ha rimproverato ai legislatori europei la «preferenza non adeguatamente giustificata» per le auto elettriche, promosse «a svantaggio del motore a combustione interna e a scapito del clima». Quasi a sostegno di queste prese di posizione c’è un recente studio di Polestar, il marchio sportivo di Volvo. Ebbene, ancor prima di percorrere il primo chilometro, la Polestar 2 emette quasi il doppio della CO2 della Volvo XC40 a benzina (26 tonnellate contro 14), soprattutto per il processo energivoro di produzione della batteria. La “parità climatica” si raggiunge dopo ben 78mila km (sulla base del mix elettrico europeo), che scendono a 50mila in caso di mix 100% rinnovabile ma salgono a 112mila con il mix globale attuale. La stessa Volvo ha sottolineato che, alla luce del dieselgate, «dobbiamo essere onesti, anche se i dati non sono confortanti».
All’opposto Volkswagen, protagonista del dieselgate convertita all’elettrificazione, afferma che la produzione delle sue ID.3 e ID.4 è a emissioni zero, grazie al gigantesco investimento in energia rinnovabile nella fabbrica di Zwickau. Certo poi l’impronta di carbonio durante la vita della vettura dipende dalle fonti usate per produrre l’elettricità che ricarica la batteria.
Le cifre di oggi e domani
Come stanno davvero le cose? Diciamo innanzitutto che le auto circolanti nel mondo sono qualcosa come 1,4 miliardi (Ward Intelligence) mentre i veicoli elettrici secondo la stima più prudente dell’Iea (Global EV Outlook 2020) passeranno dagli 8 milioni del 2019 ai 50 milioni del 2025 ai 140 milioni e il 7% del totale nel 2030 (la stima più ottimistica parla di un 30%). Insomma, la realtà è che la strada è ancora molto lunga. In Europa i limiti alla CO2 posti da Bruxelles (95 grammi al km quest’anno, solo 59 dal 2030) sotto la minaccia di multe pesanti e gli incentivi (in Lombardia si possono risparmiare fino a 18mila euro) spingono il cambiamento. Ma a parte il caso Norvegia, che non è nella Ue, dove la quota di mercato delle elettriche viaggia verso il 60%, per adesso c’è l’Olanda con oltre l’11% e a seguire tutti gli altri con quote vicine o sotto il 5% fino all’Italia, che non supera il 2% nonostante la quota sia stata triplicata nei primi nove mesi del 2020.
Le case, volenti o nolenti, ci credono, investono decine di miliardi e rinnovano la gamma. Il solo marchio Volkswagen nel 2020 ha visto vendite in diminuzione del 15% causa virus, ma ha triplicato sui veicoli elettrici a batteria e ibridi . Gli ultimi dati dicono che l’anno scorso Vw ha venduto circa un’auto elettrica su dieci, prendendosi la leadership in Europa. Renault, che ha stravenduto la Zoe, prepara 10 nuovi modelli entro il 2025. Le neonata Stellantis (Psa-Fca) ben 39.
Tra gli ostacoli al successo dell’elettrificazione (i cui costi sociali non secondari sono quelli di una decisa riduzione della manodopera) troviamo i prezzi - in calo ma sempre troppo alti per gli stipendi medi, messi in crisi dalla pandemia - e le infrastrutture, le famose colonnine per la ricarica. In Italia, per esempio, dovremo misurare gli affetti del DL semplificazioni, che ne prevede 60mila a carico dei Comuni (particolare non trascurabile).
Il nodo emissioni
Ma poi, l’inquinamento? Servirà davvero questo sforzo immane dell’industria? «A seconda del mix produttivo dell'energia elettrica, il vantaggio dell’elettrico rispetto al motore a combustione in termini di emissioni di CO2 sul ciclo di vita, varia tra il 20% per paesi con un mix generativo ancora molto centrato sui combustibili fossili come la Cina, e un teorico 60% nel caso di energia elettrica completamente prodotta da fonti rinnovabili - precisa Dario Duse, managing director della società globale di consulenza AlixPartners - . Chiaramente l’impatto derivante dalla produzione e dallo smaltimento delle batterie, oggi ancora relativamente immaturo, può modificare il bilancio in modo sensibile. E più nel breve (e con minori costi di sviluppo e di acquisto), biogas ma anche gas convenzionale (CNG) rappresentano un’opportunità per migliorare l’impatto ambientale».
E però una recente ricerca delle università di Exeter, Nijmegen e Cambridge ha concluso che le auto elettriche portano a una riduzione complessiva delle emissioni di CO2, anche quando la produzione di elettricità si basa in buona parte sui combustibili fossili. Nelle condizioni attuali, guidare un’auto elettrica sarebbe meglio per il clima rispetto alle auto convenzionali nel 95% del mondo. A parte Paesi come la Polonia, dove l’elettricità è ancora basata sul carbone. A fine 2019, poi, il centro ricerche milanese Rse (Ricerche Sistema Elettrico, il polo scientifico pubblico del Gse) ha pubblicato un dossier. Risultato: nella situazione italiana, contando tutto, dalla produzione allo smaltimento delle batterie, l’auto elettrica ha un impatto più basso di un’auto a benzina o a gasolio che offre pari comfort e prestazioni.
«Il confronto tra le diverse motorizzazioni sull’impatto complessivo lungo il ciclo completo di produzione (il cosiddetto “well to wheel”) - commenta Marco Santino, partner di Oliver Wyman per il settore Automotive - può portare a risultati discordanti. Bisogna comunque considerare due elementi che nel medio termine sposteranno l’equilibrio a favore dei nuovi sistemi di propulsione: la tecnologia “elettrica” prevede un netto miglioramento di efficienza nei prossimi anni; l’impatto complessivo dipende molto dal mix di energie di produzione, e anche qui nei prossimi anni si stima un lento, ma progressivo spostamento verso forme di produzione più virtuose, anche grazie allo sviluppo di tecnologie di smart grid». Detto questo non si può ignorare che mentre grandi mercati come Europa e Cina hanno scelto di correre verso l’elettrificazione per ragioni ambientali (si uniranno gli Stati Uniti di Joe Biden?), gran parte del resto del mondo, specie i Paesi in via di sviluppo, dove la domanda di mobilità cresce, potrebbe rimanere legato per anni al motore tradizionale o al gas. Il futuro è davvero tutto dell’auto elettrica?
«Più veicoli elettrici produciamo, più salgono le emissioni», ha detto il ceo di Toyota, Akio Toyoda