Rischio slittamento per i nuovi ristori: giovedì stop alle cartelle
Ipotesi spacchettamento I nodi perdite di fatturato e costi rimborsabili
Non ci sono solo le incognite della crisi politica a incombere sul nuovo giro dei «ristori». A sollevare ostacoli è anche la matematica, o meglio la necessità di risolvere i tanti problemi tecnici sollevati dal tentativo di cambiare i criteri su cui misurare gli aiuti. Al punto che al ministero dell’Economia sta prendendo forma l’ipotesi di spacchettare i 32 miliardi di deficit autorizzati mercoledì dalle Camere.
In questo scenario, al consiglio dei ministri in programma giovedì prossimo andrebbe sicuramente la nuova sospensione delle cartelle fiscali, che in quanto provvedimento urgente potrebbe sopravvivere anche al caso di dimissioni del governo (lo stop che ha bloccato nuovamente i 50 milioni di atti del fisco è limitato al 31 gennaio). Mentre molti altri capitoli, e fra questi aiuti a imprese e autonomi, slitterebbero almeno alla settimana successiva. Crisi permettendo.
L’ipotesi non è definitiva, e il lavoro è in corso. Ma l’unica certezza oggi è che il passaggio è complicato assai.
L’idea di fondo è quella di assegnare alle attività in crisi una nuova tornata di aiuti parametrata sui costi sostenuti. La platea dovrebbe essere individuata sulla base della perdita di fatturato fra 2019 e 2020, per riservare gli aiuti a chi ha frenato di più (le ipotesi guardano a una flessione di almeno il 50%). E qui arriva il primo problema: perché i dati puntuali di tutte le imprese coinvolte arriverebbero solo con i bilanci a fine aprile (salvo proroghe, come nel 2020), e non è facile ipotizzare un sistema di autocertificazioni asseverate dai professionisti e verificate ex post.
Ma non c’è solo questo. Perché i nuovi aiuti dovrebbero rimborsare una quota dei costi sostenuti dalle imprese e dagli autonomi anche nei periodi di chiusura o di attività limitata, al netto delle voci già coperte dagli altri interventi anticrisi su Cig, Imu, bonus affitti (che sarà prorogato). Ma qui i calcoli caso per caso muovono variabili infinite, e impongono un sistema di domande e verifiche non proprio immediato da gestire. Il criterio secco basato sulle perdite di aprile 2020, insomma, non è riuscito a misurare gli aiuti sul grado di difficoltà economica di ogni attività, determinando storture che oggi il governo vuole «perequare». Ma ha garantito una rapidità d’azione impossibile da replicare.
Per i 34 milioni di cartelle e i 16 milioni di avvisi congelati invece il tempo stringe. E sui tavoli del ministero dell’Economia si sta lavorando a una nuova moratoria che potrebbe arrivare al 30 aprile per allinearsi alla durata attuale dello stato di emergenza.
Ma il calendario non è l’unico tema sollevato da una ripresa della riscossione coattiva che nei timori dell’ amministrazione finanziaria, abbattendosi su un sistema economico ancora in piena crisi, rischia di creare anche problemi di ordine pubblico. Il precedente, ben presente ai piani alti di Mef e agenzia delle Entrate, è quello del 2011-2013, quando una frenata del P il decisamentemeno brusca rispetto al -8,8% stimato sul 2020 moltiplicò gli attacchi agli uffici dell’allora Equi tali a, in una polemicaavvelenata sui casi di imprenditori arrivati anche a togliersi la vita schiacciati dalle difficoltà economiche.
Per questa ragione nei lavori preparatori delle nuove misure si moltiplicano le ipotesi di altre cancellazioni di tasse. La prima dovrebbe rientrare nel meccanismo dei «ristori», sotto forma di credito d’imposta che alle attività con i cali di fatturato più bruschi eviti il pagamento delle imposte di fine 2020 sospese fino ad aprile (in ballo ci sono 5,3 miliardi).
Dai partiti, M5S in testa, si spinge poi per una quarta edizione della rottamazione e per un nuovo saldo e stralcio. Ma la coperta della finanza pubblica, o più precisamente del deficit, non è illimitata. E non si concilia troppo con l’idea di nuovi sconti “generalizzati”: idea osteggiata per ragioni di equità dallo stesso ministro dell’Economia Gualtieri.
Anche il solo rinvio delle cartelle ha un costo, perché a catena sposta all’anno prossimo anche i pagamenti richiedendo un deficit da 2-2,5 miliardi sul 2021 (e un allungamento dei termini di prescrizione per mantenere al sicuro il credito del fisco) che sarebbe recuperato nel 2022. E gli spazi che si restringono rischiano di spingere ai margini anche la pulizia del «magazzino della riscossione», cioè di quei 955 miliardi di crediti che negli ultimi 20 anni sono sfuggiti alle casse dello Stato. Si tratta in larga parte di somme irrecuperabili, perché a carico di imprese fallite o soggetti deceduti, che però intasano il motore della riscossione come il direttore dell’agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini ha spiegato in più occasioni. Anche la cancellazione delle partite più vecchie ha però un costo contabile: e 32 miliardi di deficit sono tanti. Ma finiscono in fretta.