Fitness, i lockdown costano 5 miliardi d’incassi mancati
Chi sperava in una riapertura a gennaio è rimasto ancora una volta deluso. Palestre e piscine resteranno chiuse per l’emergenza Covid almeno fino al 5 marzo come ha stabilito il Dpmc del 14 gennaio scorso. Una ulteriore beffa per un settore provato da quasi un anno di lockdown, che aveva vissuto una breve fase di riapertura dopo essersi sobbarcato i costi per la messa in sicurezza delle strutture, e che si trova davanti settimane piene di incertezze. I ristori non bastano e il rischio che migliaia di impianti non avranno la forza di riavviare le attività è altissimo.
«Siamo allo stremo. Speravamo di poter riaprire al più tardi il 25 gennaio o il primo febbraio. I nostri centri sportivi sono in sicurezza da ottobre», ha dichiarato nei giorni scorsi Giampaolo Duregon, presidente dell’Anif (Associazione nazionale impianti sport & fitness). «Noi non riteniamo di essere diffusori del contagio - ha aggiunto - perché indagini reali dicono che siamo scesi sotto l’uno per mille tra i frequentatori dei centri sportivi che hanno uno stile di vita sano e sono i primi a proteggersi. Nei centri sportivi il virus non gira proprio». La situazione dal punto di vista economico non è più sostenibile. «C’è un flusso economico, crollato a zero, di un miliardo di euro al mese per centomila centri sportivi italiani i quali invece continuano a pagare spese fisse», ha precisato il presidente Anif.
In sei mesi totali di lockdown il reddito si è ridotto di circa 5 miliardi. Un grido d’allarme condiviso da Luigi Angelini, Segretario generale FitComm, che unisce i principali player del mercato italiano (Virgin Active, Egosistema, McFit, Orange e FitExpress): «Sono i dati a parlare. Con due contagi ogni diecimila frequentatori le palestre sono tra i luoghi più sicuri in assoluto. Non è un caso, ma il risultato di due fattori: da un lato i milioni investiti dalle nostre aziende su distanziamento e sanificazione degli ambienti e delle attrezzature di allenamento per garantire la massima sicurezza di clienti e lavoratori; dall’altro la cultura dei nostri clienti». Per Angelini «la chiusura prolungata delle palestre è un paradosso inspiegabile se si pensa che lo stesso ministero della Salute raccomanda la prescrizione e la somministrazione dell’esercizio fisico come farmaco per le malattie croniche e per rafforzare le difese immunitarie, anche contro il Covid». Sul fronte degli indennizzi anche per il segretario generale FitComm, che pure sottolinea l’atteggiamento di ascolto del Dipartimento dello Sport, «le cifre stanziate non sono sufficienti a tenere a galla un settore che è prossimo alla morte. Per questo come associazione di categoria delle aziende del settore siamo determinati a chiedere l’apertura di un tavolo di crisi presso il ministero dello Sviluppo economico. Sono a rischio 200mila posti di lavoro». Si chiedono ristori adeguati, bonus fiscali per affitti, tasse e investimenti e la possibilità per i clienti di detrarre il costo dell’abbonamento. Anche le sigle delle imprese e delle associazioni che gestiscono i quasi 5.000 impianti natatori in Italia hanno presentato al Dipartimento dello Sport un documento congiunto che contiene le istanze per la sopravvivenza delle piscine a fronte dei gravosi oneri che le caratterizzano - i centri acquatici infatti sono gli impianti più energivori - ma soprattutto del valore del servizio reso alla collettività. Il documento è stato sottoscritto da Agisi (presieduta da Giorgio Lamberti), Anif, Assonuoto (presidente, Alessandro Valentini), Gestori della Liguria (presieduta da Andrea Biondi) e Gestori del Piemonte (presieduta da Luca Albonico) e da ForumPiscine, in qualità di coordinatore dell’iniziativa. Tra le richieste avanzate: un contributo per le chiusure almeno del 50% degli incassi del 2019; una proroga automatica da 3 a 5 anni di concessioni e affitti; l’uso della leva fiscale per ridurre i costi energetici e l’estensione al settore dell’ecobonus del 110 per cento. La crisi ha portato i gestori a far fronte comune. Sui social è nata per esempio la Lega Imprese Sportive presieduta da Antonio Erario che ha raggruppato in meno di due mesi 3.400 iscritti su Facebook per rappresentare l’impiantistica di base e gli sport amatoriali e dilettantistici.
Il Recovery plan prevede per lo sport un contributo di 700 milioni legato agli impianti nell’ambito del progetto Sport e periferie. È l’unica iniziativa esplicita per l’industria dello sport il cui peso però è assolutamente sottostimato. La misura vale lo 0,3% dei fondi Ue. L’apporto al Pil dello Sport in tutte le sue componenti vale 10 volte tanto.
In Italia la chiusura prolungata mette a rischio oltre 200mila posti di lavoro nel settore
Le richieste: ristori adeguati, agevolazioni fiscali su abbonamenti, cossti e affitti, ecobonus del 110%