La giornata mondiale per chi ha la passione della scrittura (a mano)
Per chi crede nella grafologia, la scrittura racconta personalità e carattere. Chi dubita dell’esattezza – o magari della stessa esistenza – di questa scienza, deve però ammettere il mistero insito nel modo in cui diamo forma a lettere e numeri. In alcuni Paesi, ancora oggi, alle elementari si insegna una grafia uniforme, ma crescendo ognuno di noi sviluppa la sua, per vie e ragioni misteriose. Altrettanto misterioso resta il piacere – che, certo, non è di tutti – di scrivere a mano, scegliendo con cura strumenti e supporto fisico. La rivoluzione digitale ha fatto pensare che penne, matite, stilografiche, taccuini e agende si estinguessero e che – anche nell’arte – i supporti fisici sarebbero spariti. Non è stato così. Molti artisti non vogliono o non possono fare a meno della carta per schizzi preliminari o per opere vere e proprie. La maggior parte degli autori di romanzi o saggi sono invece passati dalla macchina da scrivere a computer, tablet o smartphone; lo stesso vale per i giornalisti, naturalmente. Un po’ meno per chi scrive per puro diletto. Dall’irruzione di internet nelle nostre vite in pochi, per anni, osavano confessare di scrivere ancora a mano. Ma qualcosa è cambiato, complice il Covid. Lavorare quasi esclusivamente in modo digitale ha fatto riscoprire il valore di alcune attività o passatempi legati alla manualità. Come la scrittura, della quale ieri si è celebrata la giornata mondiale, promossa dalla Wima (Writing Instrument Manufacturers Association), un’occasione per onorare una passione che accomuna sempre più persone, che ritrovano nel gesto di scrivere l’opportunità di esprimersi.
In due modi: da una parte c’è il gesto in sé, che crea, quasi magicamente, segni, parole, numeri che possiamo riconoscere profondamente, unicamente, nostri. Il secondo aspetto riguarda il contenuto: nel 2020 e in questo inizio d’anno si segnala un aumento delle vendite di agende, diari, taccuini, come se fosse importante, in questo tempo di grande incertezza, vedere i pensieri prendere una forma fisica, più preziosa - a parità di contenuti – di quella virtuale. Verba volant, scripta manent, dicevano duemila anni fa i latini. Non si tratta solo della facilità con la quale dimentichiamo ciò che diciamo a voce: il supporto fisico della carta può essere eterno, quantomeno secondo i canoni con i quali misuriamo il tempo sulla terra. Ci sono biblioteche che custodiscono pergamene che hanno migliaia di anni, mentre tutti sappiamo che supporti come i dischetti o i cd, concepiti e “riempiti” di bit magari appena dieci anni fa, sono già oggi illeggibili. Poco male, si dirà, se si tratta di dati aziendali o documenti che non servono più o che sono forse stati spostati su server di misteriosi cloud. Se invece quei supporti contenevano memorie, ricordi, tracce di vita? Torna in mente il replicante interpretato da Rutger Hauer in Blade Runner: con lui, macchina perfetta, si spengono i suoi preziosi ricordi, perduti come «lacrime nella pioggia». Carta e penna – in tutte le loro forme – possono fare questo miracolo: conservano ciò che siamo, lo fanno per noi e per chi, venendo dopo di noi, vorrà conoscerci.