Conte, oggi dimissioni per tentare il ter Bonomi: manca la forza per le riforme
Il premier al Quirinale per rimettere il mandato L’obiettivo è il reincarico Recovery: Conte ha visto ieri le associazioni datoriali Confindustria critica
Edizione chiusa in redazione alle 22 Oggi Conte salirà al Colle per rimettere il mandato: il governo Conte bis è al capolinea, ora si apre la fase più rischiosa. Il premier scommette su un Conte ter. Pontieri all’opera con i centristi: si parla di 5-6 senatori pronti a entrare nel nuovo gruppo parlamentare, base della “quarta gamba”.
Ieri Conte ha visto le associazioni datoriali sul Recovery plan. Confindustria ha sollevato questioni di metodo e di sostanza: la governance del piano «dovrebbe prevedere modalità di confronto strutturato con le parti sociali e un loro coinvolgimento lungo tutto il processo di esecuzione». Il presidente Bonomi ha aggiunto che «non rispetta le linee guida della Ue. Dovevano essere indicati gli obiettivi, come raggiungere certi impatti sul Pil e obiettivi sociali, e non sono indicati». Siamo in ritardo, bisogna accelerare, ha detto Bonomi, che ha poi sottolineato l’assenza di riforme strutturali: «Difficile che in questa situazione politica ci sia un Governo con la forza per fare quelle riforme che anche la Ue ci chiede».
Alla fine Giuseppe Conte si è deciso al passo che ha sempre voluto evitare: oggi alle 9 comunicherà al Consiglio dei ministri l’intenzione di dimettersi e subito dopo salirà al Colle per rimettere l’incarico. Il Conte bis è arrivato al capolinea. E adesso si apre la fase più rischiosa.
Il premier scommette sulla possibilità di un “ter” che non lo costringa a dipendere dal “sì” di Matteo Renzi. Per tutta la giornata di ieri si è speso personalmente per la trattativa con i centristi, proseguita nella notte con la carta dell’annuncio delle dimissioni calata sul tavolo. D’altronde erano stati proprio loro, attraverso Bruno Tabacci e Paola Binetti, a chiedere al premier garanzie e discontinuità come precondizione per permettere ai “costruttori” di palesarsi. Il pallottoliere di Palazzo Chigi ieri sera registrava cinque-sei senatori azzurri disponibili a entrare nel nuovo gruppo parlamentare che dovrebbe diventare la base della “quarta gamba” (si fanno i nomi tra gli altri di Luigi Vitali, Franco Dal Mas, Anna Carmela Minuto). Si guarda inoltre con attenzione ai tre totiani di Cambiamo! contattati soprattutto da pontieri del Pd - Gaetano Quagliariello, Paolo RomanieMassimoBerutti.Cheperilmomento, però, stanno alla finestra. Infine c’è l’Udc, il cui simbolo è particolarmente corteggiato per permettere la formazione del gruppo a Palazzo Madama: oltre a Binetti, si confida in AntonioSaccone.Maècomunqueunacostruzione in fieri, perché la quadra non è ancora stata trovata e i numeri rimangonorisicati.Èilmotivopercuidal leader di Italia Viva trapela una certa soddisfazione. «Alla fine abbiamo vinto noi», dice Renzi ai suoi. «È il passaggio che gli avevamo chiesto e che aveva rifiutato di fare». Un modo per confermare la disponibilità a entrare nel nuovo governo senza veti personali, nella convinzione che i senatori renziani si dimostreranno ancora essenziali.
L’urgenza di Conte, d’altra parte, non è più quella di chiudere del tutto la porta a Renzi: se dal Presidente Sergio Mattarella arriverà la richiesta di disegnare una maggioranza solida, a partire da quella del Conte bis e di chiara impronta europeista, il premier non potrà sottrarsi. È in fondo la stessa posizione del Pd, che ieri ha tenuto un consiglio di guerra con tutti i ministri e il segretario. «Siamo con Conte per un nuovo governo chiaramente europeista - ha dichiarato Nicola Zingaretti al termine della riunione - e sostenuto da una base parlamentare ampia, che garantisca credibilità e stabilità». Da Largo del Nazareno ci tengono a sottolineare l’importanza di un coinvolgimento di Iv nel nuovo esecutivo in cui però Renzi non abbia più la golden share e che viene descritto non più come un Conte ter ma come un governo «di salvezza nazionale». Anche lo stato maggiore del M5S, a partire da Luigi Di Maio, si è stretto intorno a Conte. «Siamo la colonna portante di questa legislatura», ha avvisato il reggente Vito Crimi. «Il passaggio per il cosiddetto Conte ter è ormai inevitabile ed è l’unico sbocco di questa crisi scellerata, un passaggio necessario all’allargamento della maggioranza», hanno commentato i capigruppo Davide Crippa ed Ettore Licheri.
Ma da oggi tutte le strade restano aperte. Conte non salirà al Quirinale con una lista dei ministri già pronta, come aveva sperato di poter fare. Sarà dunque nelle consultazioni che prenderà forma il possibile nuovo esecutivo. Consultazioni che non dovrebbero cominciare prima di mercoledì pomeriggio, vista la cerimonia del 27 mattina per la Giornata della memoria. Salta naturalmente il temuto voto in Parlamento sulla relazione sullo stato della giustizia del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Uno dei ministri che potrebbero essere “sacrificati” per imprimere alla nuova maggioranza una direzione più garantista, come invocano i moderati dati in arrivo dall’area di Fi.
Secondo il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti si possono ora ipotizzare tre scenari. «Il primo è che il presidente del Consiglio uscente possa dimostrare agevolmente di avere una maggioranza operativa in entrambe le Camere. In tal caso dovrebbe avere un reincarico a breve». Il secondo, opposto, è che palesemente non abbia i numeri: in tal caso è da attendersi una gestione più lenta e non facilmente prevedibile in termini di possibili incarichi. Una terza via, intermedia, potrebbe prefigurare una maggioranza intorno a Conte «non del tutto convincente» e dunque sostanziarsi in un pre-incarico.
E se Conte dovesse fallire? Nei conciliaboli tra pentastellati e democratici ovviamente già se ne parla. Continuano a circolare soluzioni politiche quali Dario Franceschini o Lorenzo Guerini per il Pd e Luigi Di Maio per il M5s. Ma è proprio un big del Movimento a far notare che «l’alternativa non potrebbe essere né un premier dem né Cinque Stelle». Se tutto dovesse precipitare i nomi sulla bocca dei parlamentari della maggioranza sono due: la presidente emerita della Consulta Marta Cartabia e l’ex presidente Istat Enrico Giovannini. Fermo restando che sarà il Capo dello Stato a decidere su eventuali mandati esplorativi a personalità istituzionali.
‘‘ I sondaggi danno il centrosinistra unito avanti. L’opzione del voto non è più un tabù nella maggioranza. Una fiducia mal riposta, che non tiene conto del sistema di voto
Salta il temuto voto in Parlamento sulla relazione sullo stato della giustizia del Guardasigilli Alfonso Bonafede.
A causa del Covid i tempi e il calendario delle consultazioni saranno scanditi anche dall’esigenza di sanificare gli ambienti