Ex Ilva, via libera dalla Ue a società con Invitalia e ArcelorMittal
Bruxelles approva la nuova governance con ArcelorMittal Cresce la preoccupazione tra le imprese per i massicci rincari delle materie prime
Via libera della Commissione europea al riassetto proprietario dell’ex Ilva, che ora si prepara a scaldare i motori per lasciarsi alle spalle le incertezze del recente passato. Gli obiettivi di ramp up del nuovo piano industriale si inseriscono in un quadro di mercato rivoluzionato rispetto all’anno scorso, con una domanda in crescita e con le materie prime reduci da un rally che solo negli ultimi giorni sta conoscendo un ritracciamento. Questo significa, tanto per cominciare, un fabbisogno di circolante molto superiore rispetto agli anni più recenti. Ma il caro-materie prime preoccupa, oltre alla siderurgia, soprattutto le fonderie: il timore è che la corsa dei prezzi, nonostante gli ultimi aggiustamenti, possa avere ripercussioni sulle condizioni operative delle imprese.
Ex Ilva, via libera
La nuova società tra ArcelorMittal Italia e Invitalia può avviarsi all’operatività. «La Commissione europea ha deciso di non opporsi all’operazione notificata e di dichiararla compatibile con il mercato interno e con l’accordo See», Spazio economico europeo. Lo scrive il direttore generale Olivier Guersent. A Bruxelles, l’accordo, che segna l’ingresso dello Stato in AM InvestCO attraverso Invitalia, società del Mef, era stato notificato il 6 gennaio mentre in Italia era stato raggiunto il 10 dicembre. A questo traguardo si è arrivati dopo mesi di non facile trattativa e una prima intesa tra Ilva in amministrazione straordinaria e ArcelorMittal il 4 marzo 2020, con la quale è stato disinnescato un contenzioso giudiziario aperto da Mittal davanti al Tribunale di Mila lano. Adesso Invitalia - così come previsto - può effettuare il primo investimento di 400 milioni che le darà il controllo congiunto su AmInvestCO. Il secondo investimento fino a 680 milioni avverrà invece l’anno prossimo. È legato al closing dell’acquisto da parte di AM InvestCO dei rami d’azienda Ilva ma anche alla risoluzione di alcune condizioni sospensive entro maggio 2022, tra cui il dissequestro degli impianti siderurgici di Taranto (ora sono in facoltà d’uso). A quel punto, la partecipazione di Invitalia in AM InvestCo salirà al 60% mentre ArcelorMittal investirà fino a 70 milioni per mantenere una partecipazione del 40% e il controllo congiunto della società. Adesso potrà anche definirsi la governance della nuova società che prevede la presidenza al pubblico e il ruolo di ad al privato. Inoltre, dovrebbe riprendere a breve il confronto col sindacato sul piano industriale 2021-2025 che prevede a regime 8 milioni di tonnellate, 10.700 occupati (ma prima c’è una lunga transizione con la cassa integrazione, circa 3mila nel 2021) e investimenti industriali e ambientali (1,8 miliardi in 5 anni, 310 milioni in questo). Le sigle metalmeccaniche Fim, Fiom e Uilm hanno già sollecitato il riavvio del confronto.
La situazione
La ripartenza a pieno regime dell’ex Ilva coincide con un momento particolare per la filiera metallurgica, carico di opportunità ma anche di rischi. La fine del 2020 e l’inizio del 2021 sono coincise con un surriscaldamento sul fronte delle materie prime metallurgiche. «Questi aumenti si innestano su una ripresa dei consumi che era già ben visibile sul finale del 2020 – ha spiegato durante un recente webinar di Siderweb il presidente di Federacciai, Alessandro Banzato -. Alla luce di una crescita così repentina è chiaro che vi sia una componente speculativa internazionale, che ha coinvolto tutti gli elementi alla base della produzione, dalle materie prime, alle ferroleghe, all’energia. Questo ha gonfiato la bolla. La correzione al ribasso ci sarà, ma troverà come punto d’arresto una domanda in crescita, e questo ci darà una maggiore stabilità. Uno dei problemi, però - ha aggiunto - è capire se
filiera riuscirà a ribaltare a valle questi aumenti così repentini, anche perché tutti si sono trovati in difficoltà nel riuscire a reperire la materia prima, che si tratti di rottame, oppure di semilavorati e finiti».
Fonderie preoccupate
Una preoccupazione, quest’ultima, manifestata soprattutto dalle fonderie. Per quanto riguarda i prezzi delle materie prime del settore, la ghisa per affinazione, dopo aver toccato i minimi a fine luglio, ha seguito le sorti della basic per siderurgia alla quale è legata, passando, secondo i dati della Camera di commercio di Milano, da una media di 319 euro la tonnellata di settembre 2020 ai 493 euro rilevati lo scorso 22 gennaio (+55%); per quanto riguarda il rottame, il lamierino in pacchi è passato dai 303 euro di inizio settembre ai 395 di fine gennaio (+30%). Anche le quotazioni Lme dei non ferrosi (zinco, rame e nichel) hanno raggiunto tassi di crescita superiori al 60%. «Questa impennata spiega il centro studi di Assofond - si spiega con le scelte del Governo cinese, che ha imposto restrizioni su tutto l’import di rottami e scarti». Bolla o non bolla, le aziende rischiano comunque di restare con il cerino in mano, nel difficile equilibrio della politica di acquisto e copertura del magazzino con l’attività produttiva (il rischio più concreto, denunciato da alcuni operatori in questi giorni, è la carenza di materia prima) e soprattutto con quella commerciale. «Le imprese di fonderia - spiega a questo proposito il presidente di Assofond, Roberto Ariotti - dispongono di modesti spazi di manovra nella determinazione dei prezzi, strette da un lato dall’elevata competizione intrasettoriale, e dall’altro dal maggior potere contrattuale dei grandi gruppi clienti finali della fusione e dalla concentrazione dell’offerta dei produttori di commodities. Tale condizione di debolezza trova un ulteriore aggravio nel segmento delle aziende più piccole e produttivamente meno specializzate con un’offerta facilmente sostituibile. In un contesto di domanda ancora difficile e in mancanza di certezze sull’orizzonte temporale necessario al rientro dei prezzi, una non adeguata tempestività di trasferimento delle variazioni dei costi sui prezzi di vendita potrebbe tradursi, a consuntivo 2021, in una sensibile riduzione dei margini che, oltre ad intaccare in modo significativo le condizioni reddituali, potrebbero nel breve periodo incrinare la solidità finanziaria del settore». Il consiglio di Ariotti agli associati è «essere prudenti. Ognuno conosce la sua situazione, serve molta cautela negli acquisti e nelle vendite. Secondo la mia opinione, la domanda non è cresciuta così tanto da giustificare questi prezzi, che comunque dovremo scaricare a valle, con un aumento almeno del 10%. È chiaro che non possiamo assorbire il peso di aumenti così ingenti. Usciamo da un anno segnato dal Covid, che già ha stressato le aziende. Il settore auto, in particolare, è in crisi, e non ci sono margini per sostenere sulle nostre spalle questa situazione».