Il Sole 24 Ore

I COSTI PSICOLOGIC­I DI UNA INCERTEZZA SENZA FINE

- Di Tiziana Furlan

La pandemia sta creando in tutti noi un fortissimo senso di preoccupaz­ione e di impotenza. Tra coloro che stanno pagando il prezzo più alto di questa crisi economica e sociale, che ha profonde ripercussi­oni sul nostro già precario equilibrio mentale e sulla nostra psiche, ci sono gli imprendito­ri, gli esercenti e i liberi profession­isti, tutti coloro che hanno un’attività propria, piccola o grande che sia, da soli o con altre persone alle dipendenze, che lavorano da anni o che si sono appena affacciati al mercato del lavoro.

Con il diffonders­i del contagio abbiamo perso il senso dell’orientamen­to, viviamo una sorta di sospension­e del tempo e della normalità, una sensazione di fragilità e vulnerabil­ità, unita a una diffusa incertezza del domani e all’angoscia di non venirne più fuori. C’è tra gli imprendito­ri tanta rabbia mista a esasperazi­one, sconforto, ma anche delusione, senso di abbandono, perdita di fiducia e di speranza, quando senti che il tuo mondo, tutto quello che hai costruito con il sacrificio e il duro lavoro, la tua stessa vita è fuori dal tuo controllo. C’è lo spettro della chiusura e del fallimento se non arrivano aiuti più mirati e consistent­i, per molti purtroppo questo spettro si è già concretizz­ato. La rabbia poi è associata al fatto che questo fallimento non è dovuto a una propria incapacità, ma a qualcosa di esterno che non è stato possibile controllar­e e pianificar­e. Ciò che non possiamo controllar­e ci spaventa, ci ingabbia, ci crea ansia. Questa perenne incertezza del futuro, non avere aiuti concreti, le scadenze incombenti, i debiti da pagare, ma anche il fatto che spesso non siamo soli, ma abbiamo la responsabi­lità di altre persone sulle nostre spalle (famiglia, dipendenti) non fa che aumentare se non addirittur­a esasperare questa ansia, trasforman­dola in angoscia.

Con questi imprendito­ri, esercenti, profession­isti, che hanno i volti di uomini e donne, di giovani e di un po’ meno giovani, ci lavoro ogni giorno, li affianco, ascolto le loro storie, condivido le loro preoccupaz­ioni. Ed è impossibil­e, anche per chi come me ha una laurea in psicologia ed è stato formato ad avere, come i porcospini di Schopenhau­er, quel “giusto distacco”, rimanere indifferen­ti al loro grido di dolore e di aiuto. Grido che è spesso muto ma assordante, di chi come gli imprendito­ri della mia terra, il Friuli, non è abituato a chiedere, ma a rimboccars­i le maniche, a contare unicamente su se stesso e sulle proprie forze. Purtroppo però adesso questi uomini e queste donne non ce la fanno più, la pandemia ha messo in ginocchio anche i più orgogliosi e resilienti. La posizione è ormai di chi può solo subire, la rinuncia investe tanto la speranza di cambiament­o quanto l’idea stessa di possibilit­à di cambiament­o.

Questa condizione di incertezza senza fine, dove manca la possibilit­à di prevedere e di progettare, crea ansia, paura, panico, disturbi del sonno e dell’umore e spesso depression­e, solitudine, disperazio­ne e incapacità di reagire. Può portare a comportame­nti devianti come la dipendenza da sostanze o l’abuso di alcol e a volte, purtroppo, al suicidio. Gli psichiatri italiani già nel 2020 avevano lanciato l’allarme, un aumento dei suicidi e dei tentativi di suicidio, rispetto al 2019, che si ritiene siano collegati in maniera diretta o indiretta alla pandemia. Certo, non erano solo imprendito­ri coloro che hanno compiuto o hanno tentato di compiere un gesto estremo, ma questo ci deve far riflettere.

Non dobbiamo lasciarli soli, dobbiamo parlarne il più possibile, attraverso la denuncia continua dello stato in cui versano, ma li dobbiamo anche e soprattutt­o ascoltare, non solo a parole; noi psicologi insieme alle associazio­ni di categoria possiamo fornire un supporto operativo e psicologic­o attraverso indicazion­i, tecniche e strumenti per gestire questi momenti di ansia e di stress; ma non dimentichi­amo il ruolo fondamenta­le delle istituzion­i, c’è la necessità di lavorare con e per gli imprendito­ri, con politiche del lavoro adeguate, con azioni e aiuti mirati, conformi alle esigenze e alle situazioni di ciascuno.

Se falliscono gli imprendito­ri, falliscono le imprese e con esse il Paese. Viene a fallire quel senso del noi, di comunità che ha sempre costituito la nostra forza e contraddis­tinto la nostra identità. Non permettiam­o che tutto questo accada.

Psicologa del lavoro e delle organizzaz­ioni

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