Lo storytelling alla sfida di Next Generation Eu
Nes su no si salva da solo. È il sottotesto che ha accompagnato Davos 2021, la kermesse annuale del World Economic Forum terminata ieri online in questo tempo segnato dal distanziamento sociale. A confronto i leader del mondo – da quelli politici ai capitani d’azienda – sugli impegni del domani. «La pandemia ha dimostrato che nessuna istituzione o individuo da solo può affrontare le sfide economiche, ambientali, sociali e tecnologiche del nostro mondo complesso e interdipendente. In questo 2021 la creazione di impatto e la definizione delle politiche di partnership sono necessarie », si legge nel manifesto. Un ref ra inch eri prende quel “great reset”, pubblicato sempre dal Wef a inizio anno su Time. Costruire nuove economie, affrontando le due interruzioni simultanee: la pandemia e l’ascesa dei dati pervasivi. Così ha scritto Alex Pentland dell’ Mit nel suo best-seller “Building the new economy ”.« Inogni crisi c’è la necessità di reinventare i rapporti tra individui, imprese ego verni», ha precisato sul Wall Street Journal. Sullo sfondo quel Next Generation EU, per ora confinato solo nei dibattiti politici, ma con le imprese chiamate a intervenire a gran voce. « Pur essendo il più grande piano straordinario basato su risorse pubbliche da molti decenni, il Next Generation EU non potrà neppure lontanamente cogliere gli obiettivi di contrasto della crisi e di rilancio dell’economia se non attiverà investimenti e iniziative di origine privata. Questo è il limite fondamentale del piano italiano, che né nella progettazione delle azioni né nel contenuto delle stesse sembra tenere conto della necessità di confronto e attivazione delle forze sociali e industriali del Paese » , afferma Mario Calderini, docente di strategia d’impresa e social innovation al Politecnico di Milano. Perché le organizzazioni devono farsi carico delle grandi sfide sociali e ambientali. « Con la crisi lo Stato è tornato imperioso. Mala pandemia ci ha ricordatola centralità della reciprocità, delle relazioni, del mutualismo, della cooperazione. Ora è fondamentale che questi valori siano incorporati nella interpretazione chele imprese daranno della sostenibilità, per evitare che questa diventi un esercizio di pura esteriorità e di conservazione dello status quo, senza una vera forza trasformativa sulla società e sull’ ambiente », precisa Calde rin i. Infondo è il tempo dell’ azione .« Penso alla lettera sottoscritta da diversi colossi come Suez, Philips, Unilever e Michelin e inviata all’allora presidente Juncker per evitare che l’ economia circolare uscisse dall'agenda europea. Ma anche al documento della Business Round ab le. Tutte queste azioni hanno contribuito a completare il lavoro di advocacy iniziato con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, mettendo il green new deal e la lotta alle diseguaglianze al centro della politica europea. È il tempo del capitalismo di comunità. Bisogna preservare il valore sostanziale dell'impegno per un impatto positivo con metriche condivise e affidabili ed una governance robusta » , dice Calderini.
Il racconto del futuro
Azioni concrete accompagnate da narrazioni autentiche ed efficaci, partendo proprio dalle sfide sul Next Generation EU. Come suggerito dalpa per promosso da Bea – Be a media company, neonata società fondata da Marco Bardaz zie Salvatore Ippolito. Un decalogo per orientare la comunicazione strategica dell’ impresa contemporanea .« Quello che stiamo scrivendo ci accompagnerà nei prossimi decenni e sarà basato su resilienza, sostenibilità e digitalizzazione. Una partita che riguarda anche le aziende e il loro posto nel mondo. Bisogna interrogarsi sul loro contributo per favorire questi strumenti di crescita e raccogliere queste sfide. Oggi la migliore pubblicità è sapersi raccontare e questi anni Venti vedremo fiorire opportunità perle aziende di disintermediare la comunicazione e avviare un dialogo nuovo con gli stakeholder.Ec co perché ogni impresa può essere una media company»,a fferma Marco Bardazzi, co-fondatore di Bea. La nuova società vede sin da subito l’alleanza strategiche con una pluralità di realtà. « Bea come Beatrice, la più grande influencer dell ano stra letteratura. Abbiamo l’ ambizione di accompagnare ogni realtà imprenditoriale a raccontarsi con gli strumenti più innovativi del brand journalism, le idee più avanzate del content marketing e soprattutto la passione per le grandi storie » , precisa Bardazzi. Si guarda a modelli internazionali che hanno fatto storia: la content factory di Contently, i brand studios del Washington Post e del Guardian, lo storytelling totalizzante di General
Electric, Patagonia, Disney, Lego. « La reputazione è parte fondamentale del valore di un’impresa. Ecco perché la narrazione aziendale deve stare all’origine dei processi di business e sedere al tavolo delle decisioni strategiche. Ma la partita si gioca internamente e si lega alla coerenza. Il brand activism parte dalla comunicazione interna » , afferma Salvatore Ippolito, co- fondatore di Bea.
Nuovi profili per nuovi racconti
Storie basate sui dati e ancorate a realtà fattuali. « Oggi il mestiere del comunicatore è diventato persino scientifico. Ecco perché abbiamo scelto alleanze con data scientist e con chi sa trattare il dato. In fondo abbiamo imparato a leggere attraverso infografiche e siamo diventati esperti di istogrammi. Oggi abbiamo la possibilità di leggere i contenuti, ibridandoli con i dati nascosti nelle storie » , sottolinea Ippolito. Così i profili professionali tendono ad essere più sfumati, portando il consumatore a ragionare per storie e non più solo per stories, per una visione di insieme e non più per snack. La chiave è sfidare il caos della rete. « Oggi si respirano troppi contenuti col fiato corto. Non basta più il semplice copy che ti tira fuori un bel claim. Ci vuole una visione nel tempo. Dobbiamo puntare su approcci sistemici e non più episodici, esplorando nuovi contenuti e cogliendo le evoluzioni del brand activism » , conclude Bardazzi. Nel mondo stravolto dallo tsunami della pandemia l’imperativo è farsi sentire. Ma con autorevolezza e serietà.
Il valore del brand entertainment è nella contestualiz zazione, che permette di non disturbare i consumatori