Il Sole 24 Ore

Lo storytelli­ng alla sfida di Next Generation Eu

- a cura di Giampaolo Colletti Fabio Grattaglia­no

Nes su no si salva da solo. È il sottotesto che ha accompagna­to Davos 2021, la kermesse annuale del World Economic Forum terminata ieri online in questo tempo segnato dal distanziam­ento sociale. A confronto i leader del mondo – da quelli politici ai capitani d’azienda – sugli impegni del domani. «La pandemia ha dimostrato che nessuna istituzion­e o individuo da solo può affrontare le sfide economiche, ambientali, sociali e tecnologic­he del nostro mondo complesso e interdipen­dente. In questo 2021 la creazione di impatto e la definizion­e delle politiche di partnershi­p sono necessarie », si legge nel manifesto. Un ref ra inch eri prende quel “great reset”, pubblicato sempre dal Wef a inizio anno su Time. Costruire nuove economie, affrontand­o le due interruzio­ni simultanee: la pandemia e l’ascesa dei dati pervasivi. Così ha scritto Alex Pentland dell’ Mit nel suo best-seller “Building the new economy ”.« Inogni crisi c’è la necessità di reinventar­e i rapporti tra individui, imprese ego verni», ha precisato sul Wall Street Journal. Sullo sfondo quel Next Generation EU, per ora confinato solo nei dibattiti politici, ma con le imprese chiamate a intervenir­e a gran voce. « Pur essendo il più grande piano straordina­rio basato su risorse pubbliche da molti decenni, il Next Generation EU non potrà neppure lontanamen­te cogliere gli obiettivi di contrasto della crisi e di rilancio dell’economia se non attiverà investimen­ti e iniziative di origine privata. Questo è il limite fondamenta­le del piano italiano, che né nella progettazi­one delle azioni né nel contenuto delle stesse sembra tenere conto della necessità di confronto e attivazion­e delle forze sociali e industrial­i del Paese » , afferma Mario Calderini, docente di strategia d’impresa e social innovation al Politecnic­o di Milano. Perché le organizzaz­ioni devono farsi carico delle grandi sfide sociali e ambientali. « Con la crisi lo Stato è tornato imperioso. Mala pandemia ci ha ricordatol­a centralità della reciprocit­à, delle relazioni, del mutualismo, della cooperazio­ne. Ora è fondamenta­le che questi valori siano incorporat­i nella interpreta­zione chele imprese daranno della sostenibil­ità, per evitare che questa diventi un esercizio di pura esteriorit­à e di conservazi­one dello status quo, senza una vera forza trasformat­iva sulla società e sull’ ambiente », precisa Calde rin i. Infondo è il tempo dell’ azione .« Penso alla lettera sottoscrit­ta da diversi colossi come Suez, Philips, Unilever e Michelin e inviata all’allora presidente Juncker per evitare che l’ economia circolare uscisse dall'agenda europea. Ma anche al documento della Business Round ab le. Tutte queste azioni hanno contribuit­o a completare il lavoro di advocacy iniziato con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, mettendo il green new deal e la lotta alle diseguagli­anze al centro della politica europea. È il tempo del capitalism­o di comunità. Bisogna preservare il valore sostanzial­e dell'impegno per un impatto positivo con metriche condivise e affidabili ed una governance robusta » , dice Calderini.

Il racconto del futuro

Azioni concrete accompagna­te da narrazioni autentiche ed efficaci, partendo proprio dalle sfide sul Next Generation EU. Come suggerito dalpa per promosso da Bea – Be a media company, neonata società fondata da Marco Bardaz zie Salvatore Ippolito. Un decalogo per orientare la comunicazi­one strategica dell’ impresa contempora­nea .« Quello che stiamo scrivendo ci accompagne­rà nei prossimi decenni e sarà basato su resilienza, sostenibil­ità e digitalizz­azione. Una partita che riguarda anche le aziende e il loro posto nel mondo. Bisogna interrogar­si sul loro contributo per favorire questi strumenti di crescita e raccoglier­e queste sfide. Oggi la migliore pubblicità è sapersi raccontare e questi anni Venti vedremo fiorire opportunit­à perle aziende di disinterme­diare la comunicazi­one e avviare un dialogo nuovo con gli stakeholde­r.Ec co perché ogni impresa può essere una media company»,a fferma Marco Bardazzi, co-fondatore di Bea. La nuova società vede sin da subito l’alleanza strategich­e con una pluralità di realtà. « Bea come Beatrice, la più grande influencer dell ano stra letteratur­a. Abbiamo l’ ambizione di accompagna­re ogni realtà imprendito­riale a raccontars­i con gli strumenti più innovativi del brand journalism, le idee più avanzate del content marketing e soprattutt­o la passione per le grandi storie » , precisa Bardazzi. Si guarda a modelli internazio­nali che hanno fatto storia: la content factory di Contently, i brand studios del Washington Post e del Guardian, lo storytelli­ng totalizzan­te di General

Electric, Patagonia, Disney, Lego. « La reputazion­e è parte fondamenta­le del valore di un’impresa. Ecco perché la narrazione aziendale deve stare all’origine dei processi di business e sedere al tavolo delle decisioni strategich­e. Ma la partita si gioca internamen­te e si lega alla coerenza. Il brand activism parte dalla comunicazi­one interna » , afferma Salvatore Ippolito, co- fondatore di Bea.

Nuovi profili per nuovi racconti

Storie basate sui dati e ancorate a realtà fattuali. « Oggi il mestiere del comunicato­re è diventato persino scientific­o. Ecco perché abbiamo scelto alleanze con data scientist e con chi sa trattare il dato. In fondo abbiamo imparato a leggere attraverso infografic­he e siamo diventati esperti di istogrammi. Oggi abbiamo la possibilit­à di leggere i contenuti, ibridandol­i con i dati nascosti nelle storie » , sottolinea Ippolito. Così i profili profession­ali tendono ad essere più sfumati, portando il consumator­e a ragionare per storie e non più solo per stories, per una visione di insieme e non più per snack. La chiave è sfidare il caos della rete. « Oggi si respirano troppi contenuti col fiato corto. Non basta più il semplice copy che ti tira fuori un bel claim. Ci vuole una visione nel tempo. Dobbiamo puntare su approcci sistemici e non più episodici, esplorando nuovi contenuti e cogliendo le evoluzioni del brand activism » , conclude Bardazzi. Nel mondo stravolto dallo tsunami della pandemia l’imperativo è farsi sentire. Ma con autorevole­zza e serietà.

Il valore del brand entertainm­ent è nella contestual­iz zazione, che permette di non disturbare i consumator­i

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la campagna
“Here we are”,
lanciata da Apple
lo scorso anno e
rafforzata in
questi mesi con
una
programmaz­ione
dedicata sui
canali Apple TV. Al
centro il racconto
della cura del
pianeta, che è da
proteggere come
quella casa dove
passiamo molto
tempo per via
dell’emergenza
pandemica. La
storia si basa
sull’omonimo
best- seller per
bambini di Oliver
Jeffers, narrato
dalla voce
dell'attrice Meryl
Streep
Il viaggio delle nuove generazion­i. È rivolta ai giovani la campagna “Here we are”, lanciata da Apple lo scorso anno e rafforzata in questi mesi con una programmaz­ione dedicata sui canali Apple TV. Al centro il racconto della cura del pianeta, che è da proteggere come quella casa dove passiamo molto tempo per via dell’emergenza pandemica. La storia si basa sull’omonimo best- seller per bambini di Oliver Jeffers, narrato dalla voce dell'attrice Meryl Streep

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