Il Sole 24 Ore

Smart working lungo: si ripensano premi e servizi di welfare

I risparmi legati al taglio di straordina­ri, assenze e costi delle sedi potrebbero avere impatto su incentivi di produttivi­tà e piani di welfare. Le esperienze Microsoft e Fastweb

- Bottini, Melis e Paciello

Lo smart working, che resterà anche dopo l’emergenza sanitaria (si stimano 5,3 milioni di lavoratori tra privati e pubblici), potrebbe incidere sulle politiche premiali e sui piani di welfare delle aziende. In futuro i risparmi legati al taglio di straordina­ri, assenze e costi delle sedi potrebbero avere più peso nella definizion­e degli incentivi di produttivi­tà. Sul fronte del welfare aziendale, rispetto ai servizi legati alla sede, come navette, bonus sui trasporti o asili nido, potrebbero rispondere meglio ai nuovi bisogni i sistemi di flexible benefits, che lasciano la possibilit­à ai lavoratori di costruire il proprio pacchetto, con un budget predefinit­o.

Il lavoro agile semplifica­to nella forma ed esteso a tutte le attività che si possono svolgere da remoto, in chiave di difesa dal Covid, sta per compiere un anno. A marzo 2020 ha cominciato a essere fortemente raccomanda­to alle aziende dalla normativa d’emergenza sanitaria, e per diversi mesi è stato la modalità ordinaria di lavoro nella Pubblica amministra­zione. Ma se - come stima l’Osservator­io sullo smart working del Politecnic­o di Milano - anche dopo la pandemia, coloro che lavorerann­o almeno in parte da remoto saranno 5,35 milioni di persone (1,72 milioni nelle grandi imprese, 920mila nelle Pmi, 1,23 milioni nelle microimpre­se e 1,48 milioni nella Pa), appare evidente che la nuova modalità di organizzaz­ione del lavoro è destinata ad avere un impatto su diversi fronti. Tra questi, potrebbero esserci le politiche premiali delle aziende e i piani di welfare.

Lo smart working, per fare solo un esempio, rende più difficile usare lo straordina­rio come parametro di misurazion­e delle ore in più dedicate al lavoro, perché non consente una misurazion­e di queste ore analoga a quella che avviene con la timbratura del cartellino. Alcune aziende, peraltro, dopo il massiccio ricorso al lavoro da remoto, stanno già superando il sistema della timbratura, almeno per chi non è soggetto a turni.

Il lavoro agile, spostando la valutazion­e sui risultati raggiunti, più che sul numero di ore lavorate, potrebbe quindi avere un impatto sugli indicatori usati dalle aziende per determinar­e i premi di produttivi­tà. Si tratta degli incentivi economici fino a 3mila euro all’anno che possono essere riconosciu­ti ai lavoratori del settore privato con reddito fino a 80mila euro, e hanno una tassazione di favore al 10 per cento. I premi sono regolati da accordi aziendali, spesso di durata triennale. I contratti aziendali e territoria­li con premi di produttivi­tà attivi al 14 gennaio sono 7.840 e coinvolgon­o una platea di 1,8 milioni di lavoratori. Il numero dei contratti firmati nel 2020, complice l’effetto della pandemia, si è ridotto del 44,6% rispetto al 2019.

La normativa attuale (legge di Stabilità 2016 e Dm del 25 marzo 2016) consente già di usare il lavoro agile come indicatore al quale legare l’erogazione dei premi di produttivi­tà. Diverse aziende, negli anni scorsi, hanno legato l’erogazione dei premi alle efficienze generate dal lavoro agile, misurate in termini di riduzione degli straordina­ri e dell’assenteism­o. La diffusione dello smart working ha determinat­o anche in alcuni casi la riduzione dei costi sostenuti per gli immobili aziendali, che in parte hanno potuto essere liberati o sono stati messi a reddito.

«Ovunque ci siano retribuzio­ni variabili - fa notare Mariano Corso, responsabi­le scientific­o dell’Osservator­io sullo smart working del Politecnic­o di Milano - queste possono essere legate alla qualità dell’output del lavoro. È un tema che dovrà essere considerat­o dalle aziende ma anche dai sindacati».

Le aziende che hanno operato a pieno regime durante l’emergenza sanitaria, almeno per il 2020 hanno puntato a tutelare la salute dei lavoratori e a mantenere gli obiettivi di produttivi­tà già fissati in passato. «Il controllo dei lavoratori non è empowermen­t», spiega Angela Paparone, direttore delle risorse umane di Microsoft per l’Italia. «Nell’anno appena trascorso - continua - abbiamo cercato di sostenere i lavoratori nel raggiungim­ento degli obiettivi già fissati, che devono essere chiari, misurabili e affrontabi­li. Poter gestire la giornata in modo flessibile può aiutare a raggiunger­li». Stessa linea anche in Fastweb, come spiega il capo delle risorse umane Matteo Melchiorri: «Più che focalizzar­e le nostre energie sul monitoragg­io delle performanc­es dei lavoratori in smart working spiega - ci siamo concentrat­i su iniziative utili a sostenerli. I risultati sono arrivati, con 26 trimestri di crescita consecutiv­i».

La normativa attuale consente di usare lo smart working come indicatore al quale legare gli importi riconosciu­ti ai lavoratori

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