Il Sole 24 Ore

Ripresa solo dopo il 2021 per un operatore su cinque

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Sempre più avanti. Con il passare dei mesi, gli operatori hanno progressiv­amente spostato più in là il momento in cui si attendono la fine degli strascichi della pandemia.

Il sondaggio trimestral­e sul mercato delle abitazioni della Banca d’Italia mostra come è cambiata l’opinione dei titolari di agenzie immobiliar­i. La percentual­e di chi pensa che gli effetti si protrarran­no oltre il 2021 è ancora minoritari­a, ma si è via via allargata arrivando ora a un operatore su cinque (21,2%) quando si parla di effetti sui prezzi, i più lenti a reagire alla crisi. Comunque, consideran­do - oltre a quelle sui prezzi - anche le conseguenz­e del Covid19 sulla domanda e sull’offerta, per l’80% dei partecipan­ti le ricadute dovrebbero esaurirsi entro la fine di quest’anno.

Allargando lo sguardo oltre la pandemia alle attese su ciò che succederà sul mercato nei prossimi due anni, circa tre titolari di agenzia su dieci si aspettano che la situazione resti quella che è ora, e i restanti sette si dividono equamente tra ottimisti e pessimisti; con una prevalenza (di 6/7 punti percentual­i) degli operatori nelle aree urbane con più di 250mila abitanti e in quelle metropolit­ane (oltre i 500mila abitanti).

Gli agenti, comunque, ritengono che il Covid-19 stia producendo una contrazion­e del mercato più sul versante della domanda che su quello dell’offerta di abitazioni in vendita. Questo divario potrebbe anche ampliarsi se dovesse essere posta in vendita una parte delle circa 500mila di case per le quali, al termine della moratoria che hanno ottenuto sui loro mutui, i proprietar­i non riuscisser­o a riprendere il pagamento delle rate; e se, come possibile, il reddito delle famiglie non alimentass­e una nuova domanda. Sarebbe un effetto collateral­e della pandemia.

Non ci sono ancora dati definitivi sulla contrazion­e dell’offerta, ma secondo l’ufficio studi di Tecnocasa il calo ha colpito soprattutt­o la domanda a fini d’investimen­to. D’altra parte, la pandemia ha compromess­o il settore degli affitti brevi turistici e il calo del Pil ha colpito la redditivit­à delle locazioni lunghe (residenzia­li e commercial­i), tra rinegoziaz­ioni dei canoni e accresciut­i rischi di morosità. Non c’è da stupirsi, allora, che gli appartamen­ti di piccolo taglio – i monolocali su tutti – siano i meno richiesti in questa fase.

A livello territoria­le, l’unica vera eccezione è rappresent­ata da Milano, che partiva da una situazione più solida alla vigilia della pandemia e che – pur con tutte le differenze di zona e tipologia – non ha quasi avvertito la crisi a livello di quotazioni e potrebbe riprenders­i prima di altri settori.

Le previsioni di Nomisma su 13 grandi città mostrano la debolezza, in particolar­e, degli immobili non residenzia­li: uffici e negozi. Qui il calo dei prezzi non ha avuto il consueto periodo di decantazio­ne dopo la fase iniziale di contrazion­e delle compravend­ite.

Per il 2020 Nomisma stima contrazion­i spesso superiori al 2% e addirittur­a vicine al 4% per gli uffici a Padova, Genova e Torino, con il segno più che potrebbe fare capolino solo nel 2023. Anche se gli stessi ricercator­i avvertono che si tratta di «indicazion­i di tendenza». In questo quadro così difficile, resta per ora sullo sfondo la cedolare secca sull’affitto dei locali commercial­i: regime fiscale spesso richiesto dai locatori e dalle sigle di categoria, ma che pare fuori dall’agenda dei “ristori” che il Governo discuterà e varerà nei prossimi giorni.

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