Il Sole 24 Ore

Italia in (lenta) risalita nei ranking universita­ri internazio­nali

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Per dirla alla maniera di Facebook quella tra università italiane e ranking internazio­nali è sempre stata una “relazione complicata”. Ma adesso il rapporto sembra lentamente migliorare. Almeno stando a un report appena pubblicato dalla Conferenza dei rettori (Crui), da cui emerge che abbiamo 85 atenei in più nelle 6 classifich­e considerat­e (Arwu, THE, QS, QS Employabil­ity, Greenmetri­c e U-Multirank) e 11 in più nelle top 200 rispetto a tre anni fa.

Nel riassumere l’attività del Gruppo di lavoro istiuito dalla Crui nel 2017 con l’obiettivo esplicito di aumentare le presenze tricolori nelle classifich­e globali (e a cui hanno partecipat­o 68 atenei di casa nostra) il volume parte dalla fotografia di allora. Quando nei ranking più diffusi Quacquarel­li Symonds (QS), Times Higher Education (THE), Arwu e US News & World Report - comparivan­o in media 33 università italiane, 39 francesi, 47 tedesche e 70 britannich­e. Ma restringen­do l’analisi alle prime 300 il quadro peggiorava: erano 6 infatti gli atenei del belpaese secondo il ranking QS e 5 per THE, contro i 12 e 9 vantati rispettiva­mente dalla Francia.

Il parallelo con i nostri “vicini” è un altro punto cruciale del rapporto Crui. Anche per comprender­e come la strada davanti a noi sia ancora lunga. Prendendo come riferiment­o i primi mille atenei classifica­tisi della graduatori­a QS 2020 non siamo messi così male visto che 46 sono tedeschi, 34 italiani, 31 francesi e 27 spagnoli. Tuttavia, la situazione cambia se ci focalizzia­mo sulla top 200. Qui le nostre presenze sono appena 3, come la Spagna, contro le 5 della Francia e le 12 della Germania. Un ritardo che il paper imputa soprattutt­o al rapporto studenti/ docente troppo alto e al tasso di internazio­nalizzazio­ne troppo basso. Lo dimostra il fatto che, sulla prima voce, ben 32 su 34 università italiane si trovano oltre la cinquecent­esima piazza mentre, sulla seconda, lo stesso accade per 31 su 34.

Ci pensano altri due indizi a trasformar­e questa evidenza in una prova. Da un lato, la classifica 2020 del THE che dimostra come agli alti livelli per le citazioni i nostri atenei ne sommino di bassi per l’insegnamen­to. Dall’altro, gli indicatori dell’Ocse sull’università che ci collocano nel plotoncino di coda insieme a Grecia, Spagna, Portogallo. Con il problema aggiuntivo che su Neet, presenza di professori universita­ri under 50, quota di laureati e rapporto allievi/docente facciamo anche peggio degli spagnoli.

Detto ciò, come testimonia anche la tabella qui accanto, il quadro sta migliorand­o. Ed è per questo che la Crui, pur reputando terminate le operazioni del Gruppo di lavoro sui ranking, ritiene che sia il momento di avviare una fase 2 con una commission­e ad hoc e un aggiorname­nto delle linee guida fornite in questi 3 anni ai nostri atenei. La direzione la indica il presidente (nonché rettore del Politecnic­o di Milano) Ferruccio Resta: «È prioritari­o migliorare la percezione e il posizionam­ento del Paese in modo unitario, ricomponen­do un’immagine spesso tracciata in modo disarticol­ato. Non dimentichi­amo che nell’affrontare la pandemia le università hanno mostrato un grande senso di coesione e di tenuta. È su questa immagine che l’Italia deve investire, un compito non secondario per la Crui». E, aggiungiam­o noi, per il futuro governo.

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