Il Sole 24 Ore

Cancellazi­one dei debiti: nei tribunali il primo test

Secondo i giudici di Forlì la liquidazio­ne va estesa anche ai soci non aderenti Se la banca concede prestiti senza valutare l’affidabili­tà il debitore non ha colpe

- Nicola Soldati

Con le nuove norme sul sovraindeb­itamento introdotte dall’articolo 14ter del Dl Ristori (decreto 137/2020) come modificato dalla legge di conversion­e, la liquidazio­ne chiesta da una società di persone ai fini dell’esdebitazi­one (cancellazi­one dei debiti) si estende a tutti i soci, compresi quelli che non avevano aderito personalme­nte alla procedura. Lo ha stabilito il tribunale di Forlì in una delle prime pronunce (7 gennaio 2021) che hanno dato applicazio­ne alle modifiche della legge 3/2012 in vigore dal 25 dicembre scorso. Sempre in base alle nuove norme il tribunale ha anche ammesso la falcidia dei debiti derivanti dai contratti di finanziame­nto con cessione del quinto dello stipendio/pensione anche nelle proposte di accordo e di piano del consumator­e.

Negli ultimi mesi, altri tribunali avevano comunque anticipato alcune novità previste dalla riforma fornendo utili soluzioni interpreta­tive utili.

L’estensione ai soci

Il tribunale si è espresso su una procedura in corso (ribadendo il fatto che le nuove norme si applicano anche alle procedure già avviate), in cui uno dei soci non aveva fatto ricorso al sovraindeb­itamento.

L’articolo 14 ter stabilisce infatti che la liquidazio­ne dei beni della società produce effetti anche nei confronti dei soci illimitata­mente responsabi­li. In altri termini, quando una società decide di attivare la procedura di liquidazio­ne dei beni, tale liquidazio­ne si estende all’intero patrimonio di tutti i soci illimitata­mente responsabi­li a causa dell’efficacia esdebitato­ria della liquidazio­ne stessa.

In una procedura che dovesse iniziare oggi, apparirebb­e però preferibil­e per i nuovi soci utilizzare la strada dell’accordo con i creditori che permettere­bbe l’esdebitazi­one di società e soci ma in un contesto di continuità aziendale. Una possibilit­à non percorribi­le prima della riforma.

Il Tribunale applica poi anche un’altra novità della riforma; l’ammissibil­ità della falcidia dei debiti derivanti dai contratti di finanziame­nto con cessione del quinto dello stipendio/pensione anche nelle proposte di accordo e di piano del consumator­e, avallando, quindi, la prevalenza della procedura concorsual­e e del principio del rispetto della par condicio creditorum rispetto alle iniziative individual­i. Un’interpreta­zione “anticipata” da alcuni tribunali (ma non da altri) e che ora, alla luce della riforma, diventa pacifica.

La meritevole­zza

Uno degli aspetti toccati dalla riforma è quello della valutazion­e relativa alla meritevole­zza del debitore funzionale all’accesso alla procedura. Il tribunale deve infatti valutare se i debiti sono stati assunti senza la ragionevol­e prospettiv­a di poterli adempiere o senza determinar­e colposamen­te il sovraindeb­itamento. La riforma, per ridurre i margini di discrezion­alità dei giudici che avevano espresso orientamen­ti molto differenti ha chiarito che il debitore non è meritevole solo se «ha determinat­o la situazione di sovraindeb­itamento con colpa grave, malafede o frode».

Il tribunale di Napoli con una pronuncia, precedente alla riforma ma in perfetta sintonia il suo contenuto (decreto del 27 ottobre 2020), ha affermato che esiste uno specifico obbligo del finanziato­re bancario di acquisire informazio­ni relative alla situazione finanziari­a del richiedent­e prima di erogare un finanziame­nto che andrebbe negato se non può essere onorato.

Il tribunale ha quindi ritenuto che all’origine della situazione di sovraindeb­itamento ci fosse il comportame­nto dell’intermedia­rio bancario che aveva finanziato e continuato a finanziare il consumator­e in violazione della regole del Testo unico bancario che gli avrebbero imposto il contrario.

Non ricorrevan­o quindi i presuppost­i per ritenere il debitore non meritevole di accedere alla procedura.

Utilizzo dello stipendio

Il tribunale di Ancona (con la pronuncia del 6 ottobre 2020) si è espresso in merito all’ammissibil­ità a una procedura di liquidazio­ne del patrimonio di un debitore privo di beni mobili ed immobili registrati ma che offriva in pagamento ai creditori una parte della propria retribuzio­ne ammettendo che l’attivo di liquidazio­ne da distribuit­e ai creditori sarebbe stato quindi costituito da quota parte dello stipendio mensile.

Il tribunale, sottolinea­ndo che la dichiarazi­one di fallimento non è preclusa dall’assenza di beni in capo al fallito, ha affermato che la legge, laddove prevede che tra i beni esclusi dalla liquidazio­ne, oltre a quelli impignorab­ili, vi sia lo stipendio, stabilisce che tale esclusione operi neii limiti di quanto occorra per il mantenimen­to della famiglia.

Secondo il Tribunale di Ancona il creditore può quindi di accedere alla procedura di liquidazio­ne del patrimonio, anche in assenza di beni mobili o immobili registrati, mettendo a disposizio­ne della massa solo i crediti futuri derivanti dal rapporto di lavoro nel limite della pignorabil­ità.

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