I «trucchi» degli algoritmi e lo scudo della privacy
Ogni utente di internet può ricorrere per opporsi a comportamenti lesivi o pratiche commerciali vessatorie
La fortissima espansione del e-commerce viene vista da molti come un evento che porta notevoli vantaggi ai consumatori, potendo essi godere di una selezione di prodotti e servizi sempre più ampia ed a prezzi sempre più bassi. In più, questo periodo di pandemia globale ha dimostrato come i motori di ricerca e, soprattutto, i grandi marketplace, come Amazon o Alibaba, siano diventati gli attori incontrastati delle transazioni commerciali consumeristiche, al punto che, in effetti, diviene sempre più difficile trovare qualcuno che non si sia servito almeno una volta di questi enormi magazzini on-line per fare acquisti negli ultimi mesi.
Di fatto, così come i negozi di prossimità hanno dovuto spesso deporre le armi nei confronti dei centri commerciali, anche questi ultimi stanno lentamente capitolando davanti ai colossi del web.
Chi pure ha provato ad avviare un’attività di e-commerce con le proprie forze, finisce spesso per doversi rassegnare a pagare un canone per poter vendere sulle piattaforme online e godere così di una visibilità senza paragoni. Si potrebbe dire che tutto ciò è un bene per i consumatori, ma le cose non stanno esattamente così.
Gestione delle informazioni
Invero, il fatto che tali marketplace facciano un uso sempre più esteso di raffinati algoritmi per analizzare le vendite, o anche solo le ricerche, dei prodotti e servizi offerti online consente ai gestori di quelle piattaforme di ottenere dati preziosi sulle capacità di acquisto dei singoli consumatori, sulla loro provenienza geografica, sulla loro propensione all’acquisto, oltre che sulle loro connotazioni e abitudini private. Sebbene l’uso più legittimo di questi dati possa limitarsi alla semplice customizzazione delle offerte, in realtà accade sempre più spesso che quelle informazioni siano utilizzate per porre in essere comportamenti illegittimi, come già accaduto e denunciato in diverse occasioni sia dalle autorità europee che statunitensi.
Si è assistito, ad esempio, ad aumenti dei prezzi che colpivano solo determinate categorie di consumatori, oppure a differenziazioni delle offerte in base alla presunta capacità reddituale degli acquirenti, oppure in base alla loro estrazione sociale o geografica, o ancora in funzione della loro disponibilità a concedere recensioni o feedback positivi a prodotti o servizi proposti dagli stessi marketplace.
L’insidia degli algoritmi
La stessa Autorità per la concorrenza ed il mercato ha evidenziato come la ricerca, da parte dei consumatori, di un bene o di un servizio all’interno di un determinato marketplace risulti spesso indebitamente condizionata dagli algoritmi utilizzati dal sistema informatico della piattaforma. Basti pensare che, al fine di massimizzare la probabilità che i risultati delle ricerche coincidano con un acquisto, tali algoritmi prendono in considerazione non solo il nome, il prezzo, l’immagine e descrizione del prodotto, ma anche il posizionamento del brand e le recensioni dei clienti passati su tutti gli aspetti legati all’acquisto ed all’assistenza post-vendita; in questi termini, consentire ai singoli venditori di migliorare il proprio posizionamento o rimuovere i feedback negativi dei consumatori a fronte dell’adesione in via esclusiva ai servizi offerti dalla stessa piattaforma, costituisce indubbiamente una condotta lesiva verso i medesimi consumatori.
Ruolo delle Authority
Oltre a ciò, sia l’Autorità per la concorrenza che l’Autorità garante per la privacy hanno più volte evidenziato i rischi derivanti da un trattamento spregiudicato dei dati e delle informazioni acquisite dai motori di ricerca e dalle piattaforme on-line, sia a discapito di chi vende i propri beni o servizi attraverso tali canali, sia a discapito dei consumatori ed acquirenti finali.
La possibilità che questi dati vengano utilizzati o, addirittura, rivenduti, per finalità del tutto diverse da quelle formalmente dichiarate rappresenta uno degli aspetti più oscuri e pericolosi del crescente dominio dei grandi operatori di e-commerce e dimostra, ancora una volta, come la tutela di ciascuno di noi debba passare anche attraverso la tutela di tutti gli altri utenti del web, siano essi consumatori o utenti commerciali.
In attesa che l’Unione europea arrivi ad emanare nuove e più stringenti misure per la regolamentazione del mercato online, va comunque ricordato che ogni utente di internet ha la possibilità di ricorrere alle suddette Autorità per segnalare o impedire comportamenti lesivi della propria privacy o pratiche commerciali vessatorie o discriminatorie attuate nei propri confronti da parte dei grandi operatori del web. In particolare, l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato (Agcm), già a partire dal 2007, ha ampliato le proprie competenze contro tutte le pratiche commerciali scorrette poste in essere nei confronti dei consumatori, arrivando a comprendere anche quei i comportamenti volti soltanto a falsare o condizionare le scelte economiche del consumatore, indipendentemente da un danno economico concreto.