IL REGIME DEL LIBERI TUTTI
Èvero che GameStop è una battaglia tra investitori professionali e piccoli speculatori, ma attenzione a considerare la vicenda come la vittoria della gente comune che riesce a mettere in ginocchio i signori di Wall Street, una sorta di film di Frank Capra del XXI secolo.
James Stewart è morto, titolava amaramente il suo libro un professore americano che commentava le mutazioni genetiche della finanza americana degli ultimi decenni.
La verità è che in questi giorni è esplosa una miscela micidiale fatta di incertezza sull’andamento futuro delle borse, dopo un anno di ascesa in controtendenza con il crollo dell’economia e la diffusione di piattaforme di negoziazione gratuita che rendono comprare e vendere titoli (e derivati) facile come farsi portare la pizza a casa. E in questi tempi in cui il reddito delle classi medio e medio-basse langue (dopo decenni di stagnazione) la tentazione di emulare i grandi finanzieri è enorme e amplificata dalla pressione dei social.
Va anche detto che Gamestop non è una novità: è solo l’ultimo episodio e il più clamoroso. Nessun titolo era cresciuto del 1.300% in poche settimane, ma casi analoghi si erano già verificati, perché da mesi gli hedge fund più scettici sulla possibilità di ulteriori rialzi di borsa, avevano cominciato ad assumere posizioni al ribasso sui titoli considerati sopravvalutati, suscitando movimenti contrari da parte di piccoli day trader. Ed è sbagliato vedere nei ribassisti i cattivi del mercato: il film «La grande scommessa» (The big short) racconta la storia vera dell’hedge fund che nel 2005 fiutò la bolla dei titoli immobiliari, prese importanti posizioni di vendita allo scoperto e in un paio di anni contribuì a mettere fine alla folle corsa.
Più o meno con lo stesso spirito, molti hedge fund avevano assunto posizioni al ribasso su Gamestop, una banale catena di negozi di videogame, ma questa volta la capacità di mobilitazione dei piccoli speculatori individuali si è rivelata enormemente superiore. Ma vedremo ancora altri scontri come questo perché sono il frutto del sempre più raffinato perfezionamento delle tecniche di analisi del linguaggio dei social per capire se prevalgono le aspettative al rialzo o al ribasso e dell’uso delle piattaforme per diffondere il “sentimento della maggioranza” e quindi indurre i singoli investitori a prendere posizioni. Ma in queste mobilitazioni di massa, gli individui finiscono per essere trascinati come in un gregge, e quindi destinati ad essere tosati. Non è aprendo alle masse le porte della speculazione che si risolvono le distorsioni della finanza di oggi.
E qui entra in gioco il ruolo dei regolatori e della Sec in particolare, sempre più in imbarazzo ad applicare a queste frenetiche speculazioni il suo mandato di «mantenere condizioni eque e ordinate nella negoziazione dei titoli assicurando la regolarità degli scambi e dei mercati e proteggendo gli investitori». Parole da mercato di altri tempi: sono regolari ed equi scambi sollecitati dai social network e dalle piattaforme specializzate? Si può parlare di manipolazione di mercato nella diffusione dei messaggi? Quasi sicuramente sì, ma in questo caso le tecniche sono solo formalmente diverse ma sostanzialmente simili a quelle da sempre usate dai grandi di Wall Street. Nel dubbio, la Sec sembra salomonicamente ritenere che entrambi siano innocenti e applicare la vecchia regola di far fallire chi ha osato troppo. Infatti la decisione di alcune piattaforme di sospendere le negoziazioni è stata unanimemente criticata.
È la vecchia terapia, che però era efficace quando le manie speculative erano fatti tutto sommato occasionali: le bolle sono l’occasione per separare il denaro dagli stupidi, diceva un vecchio, cinico adagio di borsa. Ma adesso non solo questi episodi sono diventati endemici come il coronavirus, ma mettono in gioco la funzione essenziale della borsa, che è quella di determinare il valore di lungo termine delle azioni e soprattutto di fornire capitale di rischio alle imprese. Perché queste due condizioni siano rispettate bisogna che i prezzi di borsa non dipendano dall’umore del momento né di pochi finanzieri, ma neanche delle folle.
Insomma, siamo di fronte all’ennesima dimostrazione del fatto che le distorsioni che hanno portato alla grande crisi finanziaria non solo non sono state risolte, ma si sono enormemente aggravate. Le regole per rendere la speculazione meno distruttiva ci sono, ma richiedono ad esempio misure severe sulla microstruttura dei mercati e soprattutto delle controparti centrali, riconoscendo che l’abbattimento dei monopoli delle borse di un tempo ha sì colpito la rendita dei vecchi operatori, ma che il nuovo regime del “liberi tutti” e delle commissioni zero non è affatto migliore. Quando negli anni Settanta si aprì il vaso di Pandora della speculazione sulle valute, il saggio James Tobin, Nobel dell’economia, disse che bisognava «mettere un po’ di sabbia negli ingranaggi del mercato». Forse oggi parlerebbe di qualche palata.