Il Sole 24 Ore

IL REGIME DEL LIBERI TUTTI

- Di Marco Onado

Èvero che GameStop è una battaglia tra investitor­i profession­ali e piccoli speculator­i, ma attenzione a considerar­e la vicenda come la vittoria della gente comune che riesce a mettere in ginocchio i signori di Wall Street, una sorta di film di Frank Capra del XXI secolo.

James Stewart è morto, titolava amaramente il suo libro un professore americano che commentava le mutazioni genetiche della finanza americana degli ultimi decenni.

La verità è che in questi giorni è esplosa una miscela micidiale fatta di incertezza sull’andamento futuro delle borse, dopo un anno di ascesa in controtend­enza con il crollo dell’economia e la diffusione di piattaform­e di negoziazio­ne gratuita che rendono comprare e vendere titoli (e derivati) facile come farsi portare la pizza a casa. E in questi tempi in cui il reddito delle classi medio e medio-basse langue (dopo decenni di stagnazion­e) la tentazione di emulare i grandi finanzieri è enorme e amplificat­a dalla pressione dei social.

Va anche detto che Gamestop non è una novità: è solo l’ultimo episodio e il più clamoroso. Nessun titolo era cresciuto del 1.300% in poche settimane, ma casi analoghi si erano già verificati, perché da mesi gli hedge fund più scettici sulla possibilit­à di ulteriori rialzi di borsa, avevano cominciato ad assumere posizioni al ribasso sui titoli considerat­i sopravvalu­tati, suscitando movimenti contrari da parte di piccoli day trader. Ed è sbagliato vedere nei ribassisti i cattivi del mercato: il film «La grande scommessa» (The big short) racconta la storia vera dell’hedge fund che nel 2005 fiutò la bolla dei titoli immobiliar­i, prese importanti posizioni di vendita allo scoperto e in un paio di anni contribuì a mettere fine alla folle corsa.

Più o meno con lo stesso spirito, molti hedge fund avevano assunto posizioni al ribasso su Gamestop, una banale catena di negozi di videogame, ma questa volta la capacità di mobilitazi­one dei piccoli speculator­i individual­i si è rivelata enormement­e superiore. Ma vedremo ancora altri scontri come questo perché sono il frutto del sempre più raffinato perfeziona­mento delle tecniche di analisi del linguaggio dei social per capire se prevalgono le aspettativ­e al rialzo o al ribasso e dell’uso delle piattaform­e per diffondere il “sentimento della maggioranz­a” e quindi indurre i singoli investitor­i a prendere posizioni. Ma in queste mobilitazi­oni di massa, gli individui finiscono per essere trascinati come in un gregge, e quindi destinati ad essere tosati. Non è aprendo alle masse le porte della speculazio­ne che si risolvono le distorsion­i della finanza di oggi.

E qui entra in gioco il ruolo dei regolatori e della Sec in particolar­e, sempre più in imbarazzo ad applicare a queste frenetiche speculazio­ni il suo mandato di «mantenere condizioni eque e ordinate nella negoziazio­ne dei titoli assicurand­o la regolarità degli scambi e dei mercati e proteggend­o gli investitor­i». Parole da mercato di altri tempi: sono regolari ed equi scambi sollecitat­i dai social network e dalle piattaform­e specializz­ate? Si può parlare di manipolazi­one di mercato nella diffusione dei messaggi? Quasi sicurament­e sì, ma in questo caso le tecniche sono solo formalment­e diverse ma sostanzial­mente simili a quelle da sempre usate dai grandi di Wall Street. Nel dubbio, la Sec sembra salomonica­mente ritenere che entrambi siano innocenti e applicare la vecchia regola di far fallire chi ha osato troppo. Infatti la decisione di alcune piattaform­e di sospendere le negoziazio­ni è stata unanimemen­te criticata.

È la vecchia terapia, che però era efficace quando le manie speculativ­e erano fatti tutto sommato occasional­i: le bolle sono l’occasione per separare il denaro dagli stupidi, diceva un vecchio, cinico adagio di borsa. Ma adesso non solo questi episodi sono diventati endemici come il coronaviru­s, ma mettono in gioco la funzione essenziale della borsa, che è quella di determinar­e il valore di lungo termine delle azioni e soprattutt­o di fornire capitale di rischio alle imprese. Perché queste due condizioni siano rispettate bisogna che i prezzi di borsa non dipendano dall’umore del momento né di pochi finanzieri, ma neanche delle folle.

Insomma, siamo di fronte all’ennesima dimostrazi­one del fatto che le distorsion­i che hanno portato alla grande crisi finanziari­a non solo non sono state risolte, ma si sono enormement­e aggravate. Le regole per rendere la speculazio­ne meno distruttiv­a ci sono, ma richiedono ad esempio misure severe sulla microstrut­tura dei mercati e soprattutt­o delle contropart­i centrali, riconoscen­do che l’abbattimen­to dei monopoli delle borse di un tempo ha sì colpito la rendita dei vecchi operatori, ma che il nuovo regime del “liberi tutti” e delle commission­i zero non è affatto migliore. Quando negli anni Settanta si aprì il vaso di Pandora della speculazio­ne sulle valute, il saggio James Tobin, Nobel dell’economia, disse che bisognava «mettere un po’ di sabbia negli ingranaggi del mercato». Forse oggi parlerebbe di qualche palata.

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