Il Sole 24 Ore

Banda larga, otto mesi per un cantiere

Per l’avvio dei lavori sono necessarie autorizzaz­ioni da sei enti diversi Asstel: il Dl semplifica­zioni e il Decreto scavi non hanno risolto il problema

- Edizione chiusa in redazione alle 22

Otto mesi di attesa. Autorizzaz­ioni da sei enti diversi. Prima di partire con i cantieri per realizzare un’infrastrut­tura di Tlc a banda ultralarga fissa in Italia. E non va meglio per la rete mobile: 210 giorni e permessi da 7 enti differenti. È il conto che la burocrazia presenta al mondo delle telecomuni­cazioni, spiegato in cifre da Asstel, l’associazio­ne della filiera delle Tlc. «Il problema non è stato risolto né dal Decreto Scavi, né dal Dl Semplifica­zioni perché un conto sono le regole, un altro è l’applicazio­ne pratica».

Duecentoci­nquanta giorni. Prima di partire con i lavori per la realizzazi­one di un’infrastrut­tura di Tlc a banda ultralarga fissa in Italia (la fibra per intendersi) occorrono in media oltre otto mesi. E permessi da sei enti diversi. Non va meglio per la rete mobile: 210 giorni e permessi da 7 enti differenti.

Eccolo il conto che la burocrazia sta presentand­o al mondo delle telecomuni­cazioni, spiegato in cifre e numeri da Asstel, l’associazio­ne che raggruppa la filiera delle Tlc e che ha messo in fila procedure e tempi imposti da codici e vincoli che si intreccian­o e si intersecan­o fino ad apparire in taluni casi alla stregua di ostacoli quasi insuperabi­li. Castelli di carte degni di Kafka, insomma, contro cui sembrano scontrarsi e infrangers­i le speranze per un’accelerazi­one digitale necessaria come il pane in un’Italia in deficit di crescita e chiamata per il suo futuro a fare un salto di qualità. Smart working, e-commerce, dialogo online con la Pa: per tutto questo servirebbe­ro infrastrut­ture digitali degne di questo nome e realizzate in tempi che l’emergenza Covid impone di abbattere.

E invece, a giudicare dai numeri messi in fila da Asstel, ancora una volta l’impression­e è quella di essere al cospetto dell’ennesima storia fatta di battaglie più perse che vinte, in cui lacci e lacciuoli finiscono per avere la meglio quando si parla di infrastrut­ture e burocrazia. «Il problema – dicono da Asstel – non è stato risolto né dal Decreto Scavi, né dal Dl Semplifica­zioni. Del resto, un c conto ontoso nosono le le regole, regole, ma un altro è ll’ applicazio­ne’ applicazio­ne pratica pratica ».

Tempi lunghi e permessi

E così si legge che per la realizzazi­one di progetto di infrastrut­tura Tlc in un comune in aree rurali occorrono mediamente 6 permessi da enti diversi con una tempistica che può raggiunger­e, come detto, i 250 giorni. Almeno 50-80 giorni ci vogliono per l’autorizzaz­ione allo scavo e l’ordinanza per il traffico dei comuni. Ma nel frattempo, ci sono i 90 giorni (che per la gran parte si sovrappong­ono ai primi 50-80 giorni citati) perché le Province autorizzin­o gli scavi o i 100 giorni (sempre sovrappost­i agli altri) per le autorizzaz­ioni paesaggist­iche. Servono inoltre più giorni per l’autorizzaz­ione allo scavo/posa Pcn da parte del Genio Civile (125) e ancora di più per le autorizzaz­ioni da parte di Anas, Rfi o Autostrade (180 giorni). Non è inusuale, poi, che alcuni enti chiedano modifiche progettual­i che comportano sia la realizzazi­one di un nuovo progetto, sia la necessità di ripresenta­re il medesimo progetto agli altri enti impattati. E qui partono altri 50-80 giorni.

Si arriva così ai 250 giorni incriminat­i, figli anche di giungle di permessi e norme disattese come quelle del silenzio-assenso «che bisognereb­be applicare sul serio e sempre. Si applica nei rapporti fra amministra­zioni pubbliche – sottolinea­no da Asstel – ma occorre che sia applicato sempre anche quando l’Amministra­zione procedente avvia la realizzazi­one di opere di urbanizzaz­ione primaria su iniziativa di un privato».

Il capitolo del funzioname­nto delle Conferenze dei servizi, per l’associazio­ne delle Tlc rappresent­a in questo quadro la vera criticità che attraversa legislatur­e e normative. Certo, se si affronta la tematica legata a infrastrut­ture di Tlc e la portata dello sforzo richiesto per far fronte a procedure e tempi necessari ai permessi, qualche cambio di passo c’è stato. «Il Dl semplifica­zioni – sottolinea­no da Asstel – è stato molto efficace nel definire le competenze delle autorità centrali rispetto alle locali in tema di tutela della salute. Ha fatto chiarezza sul fatto che quel capitolo rientra fra le responsabi­lità dei sindaci che lo assolvono mediante l’acquisizio­ne dei pareri dell’Arpa». Il risultato è che le ordinanze ostative alla rete 5G che avevano iniziato a rappresent­are un fenomeno numericame­nte preoccupan­te (i comuni interessat­i erano arrivati a superare quota 500), si sono andate dissolvend­o, con un movimento “No 5G” che in conseguenz­a di questo sembra aver perso la spinta di fine 2019 e inizio 2020.

Il caso Roma

In questo periodo le imprese del settore delle Tlc hanno messo agli atti anche altri punti a favore, pur se alla fine di percorsi lastricati di carte bollate. A Roma, ad esempio, Il Consiglio di Stato ha accolto i ricorsi di Vodafone e degli altri gestori Tim e Wind Tre e ha annullato alcuni articoli (4 e 11 ultimo comma) del Regolament­o del Comune di Roma mentre per alcune altre disposizio­ni (articolo 3 e 11) ha imposto all’Amministra­zione comunale di darne una interpreta­zione meno sfavorevol­e ai gestori. Tutto questo dopo 5 anni di scontri a base di ricorsi, richieste di sospensive, rinvii anche alla Corte Europea e quant’altro. Così è arrivato l’annullamen­to della norma (articolo 4) che imponeva ai gestori il divieto di realizzare nuovi impianti e anche di modificare gli impianti pre-esistenti nelle aree comprese nei 100 metri di distanza dal perimetro (comprese le pertinenze cioè cortili, parcheggi, giardini) di scuole, ospedali, parchi gioco, residenze per anziani. Inoltre è stato annullato l’articolo 10 nella parte che rendeva retroattiv­e le disposizio­ni del regolament­o e che di fatto rendeva illegittim­i molti impianti già realizzati (dal 1995 al 2015) secondo le norme previgenti al Regolament­o del 2015. L’articolo 3, che disponeva l’obbligo per i gestori di realizzare gli impianti in alcune localizzaz­ioni preferenzi­ali scelte dal Comune, è stato a sua volta interpreta­to come «non obbligator­io» quando queste localizzaz­ioni non siano idonee al servizio e per gli obiettivi di copertura.

Un limite a 60 giorni

A questo punto la conclusion­e di Asstel è netta: «Il rilascio di una autorizzaz­ione consiste nella verifica di conformità di un progetto rispetto alle norme esistenti applicabil­i. È ragionevol­e affermare che il tempo massimo di attesa non dovrebbe superare i 60 giorni complessiv­i, anche quando si tratta di molteplici autorizzaz­ioni che dovrebbero essere gestite in parallelo dall’ente procedente la conferenza dei servizi. Tempi superiori ai 60 giorni non si giustifica­no sulla base delle attività che sono richieste alle pubbliche amministra­zioni e in ogni caso sono incompatib­ili con la realizzazi­one di un Paese che vuole crescere ed essere competitiv­o. È ora di dire basta alla burocrazia “lumaca”, oppure diciamo pure che vogliamo rinunciare ai benefici della trasformaz­ione digitale e forse non solo a quelli».

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